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Video. Ricordiamo il generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso dalla mafia

https://youtu.be/B7N0ZpkZNYU

A 40 anni dal terribile omicidio per mano della mafia ricordiamo il generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa

 

VIDEO. Quando il generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa fece arrestare a Pinerolo i terroristi sanguinari delle Brigate Rosse Curcio e Franceschini. A 40 anni dall'omicidio della mafia. Onori al generale dalla Chiesa
https://www.vocepinerolese.it/video/2022-09-03/video-ricordiamo-generale-dei-carabinieri-carlo-alberto-dalla-chiesa-ucciso-dalla-mafia-22433

A 40 anni dal terribile omicidio per mano della mafia ricordiamo il generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa

 

Saluzzo, in provincia di Cuneo, nel cuore del Piemonte. Capitale, per oltre quattro secoli, dal 1142 al 1548, del marchesato a cui diede il nome. Vecchio borgo medievale, sede vescovile, ancora oggi conserva intatte molte delle sue antiche vestigia. Saluzzo ha dato i natali a molti importanti personaggi della nostra storia, tra cui Silvio Pellico e il famoso tipografo Giovanni Battista Bodoni. Il 27 settembre 1920 era un lunedì. La signora Maria Laura Bergonzi, emiliana, nata il 19 ottobre 1897 a Piacenza, ha appena dato alla luce un bel bambino, per la gioia non trattenuta del marito, un emiliano anche lui, parmense, giovane ufficiale dei Carabinieri.

È nel destino di tutti i Carabinieri nascere

in un luogo e poi condurre una vita là dove

ti portano gli ordini, seguendo la propria

carriera, vivendo nelle caserme di piccoli

paesini o in grandi città.

Un vero Carabiniere, una famiglia che darà tanto all’Arma, al suo Paese, fino all’epilogo finale per Carlo Alberto, quel maledetto 3 settembre 1982, in via Carini, a Palermo. A Saluzzo sono orgogliosi di aver dato i natali a personaggi del calibro di Silvio Pellico e ancora vivo è il ricordo di quel soldato “fedele nei Secoli”,

il cui motto, come per tutti gli appartenenti dell’Arma, come riportato sul marmo del Sacrario del Salone d’Onore del Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri a Roma, è un perentorio “obbedimmo”.

Il papà di Carlo Alberto, Romano dalla Chiesa, era nato a Parma, il 24 aprile 1891. La famiglia ebbe tre figli, il primogenito Carlo Alberto, Romolo e Romeo. Tutti Carabinieri tranne Romeo, che sceglierà un’altra strada,

diventando un importante dirigente di banca. Romano partecipò alla Prima Guerra mondiale nel Regio Esercito, per entrare poi nell’Arma e percorrere una luminosa carriera fino a diventare Generale di divisione, ottenendo una Medaglia di bronzo al valor militare. Romano morì a Roma il 25 luglio 1978 e, fu questa la sua unica fortuna, perché non fece in tempo a vedere la morte per mano mafiosa di suo figlio Carlo Alberto. Mamma Laura, invece, morì l’11 settembre 1986 e quindi affrontò tutti i momenti più atroci che una madre può vivere, sopravvivendo alla morte del figlio Carlo Alberto. È sepolta nella sua Parma, nel Cimitero della Villetta.

Che curioso destino! Carlo Alberto

e Salvo d’Acquisto, due eroi non

solo dell’Arma ma dell’Italia intera,

entrambi nati nel 1920.

Carlo Alberto fu educato fin da subito ai valori che fanno del senso del dovere e dell’amor di patria il fondamento principale della vita, valori che per quella famiglia si incarnavano nell’Arma stessa.

UN GIOVANE SOLDATO

S’è detto che per i Carabinieri un luogo vale l’altro: una piccola caserma di paese o una più importante sede cittadina. Carlo Alberto trascorse quindi gli anni della giovinezza nelle diverse sedi in cui il padre veniva inviato.

Ragazzo studioso, mostrava però

già i segni di quel carattere

determinato, a volte aspro,

seppur edulcorato da una vena di

romanticismo, che lo porteranno più

che dietro una scrivania sempre in

trincea, in prima linea.

Quando scoppiò la Seconda Guerra mondiale, nel 1941, fu inviato in Montenegro per partecipare alle operazioni militari nei Balcani come sottotenente di complemento dell’Esercito. Nel 1942 entrò nell’Arma dei Carabinieri e di lì a poco, nel luglio 1943, al seguito del padre Romano che era stato trasferito a Bari, in qualità di comandante della Legione, consegue la laurea in Giurisprudenza, tra l’altro sviluppando una tesi

da presentare all’esame finale assegnatagli da un giovane e brillante professore, Aldo Moro.

DORA

Giovane liceale, a Bari, aveva conosciuto una ragazza sua coetanea, Dora Fabbo, anche lei nella città pugliese al seguito del padre, ufficiale dei Carabinieri. Fu un grande amore, soprattutto una vera dedizione del severo ufficiale dei Carabinieri verso la sua compagna, la madre dei suoi tre figli, Rita, Nando e Simona.

Mi permetto qui una piccola digressione, uscendo per un istante dal rigido racconto cronologico. Carlo Alberto e Dora si sposarono a Firenze, nel luglio 1946. Il 19 febbraio 1978 Dora morì stroncata da un infarto. Durante il funerale il sacerdote sottolineò che Dora era “un’altra vittima del terrorismo”. Dopo la sua morte Carlo Alberto incominciò a scrivere tutte le sere un diario.

“Sono oltre quaranta giorni

che vivo senza quella creatura.

Senza un segno da colei

alla quale avevo donato,

dall’età di 19-20 anni, la mia

stessa esistenza”.

Così ricorda la primogenita, Rita:

 “Il senso dello Stato che papà si portava dentro è costato tanto alla nostra famiglia: è costato al cuore di mia mamma, che a 52 anni se ne è andata, per la paura. Stava davanti alla tv tutte le sere per sentire le notizie su papà”.

Ma torniamo indietro nel tempo. L’Italia è divisa in due, infuria una sanguinosa Guerra di Liberazione che vedrà, tra l’altro, molti Carabinieri in prima linea nel ridare onore ad un Paese, l’Italia, che quella guerra stava, di fatto, perdendo. Carlo Alberto l’8 settembre 1943, giorno dell’Armistizio, era il comandante della

caserma di San Benedetto del Tronto. Durante l’occupazione nazista si era più volte rifiutato di prendere parte ad azioni di rastrellamento e rappresaglia contro formazioni partigiane e collaborò attivamente con i partigiani marchigiani fino alla fine del 1943, quando riuscì a passare le linee nemiche. Un momento della sua vita che Carlo Alberto ricorderà sempre con orgoglio, un’esperienza fondamentale della sua carriera non solo militare, “mi trovai alla testa di bande di patrioti e responsabile di intere popolazioni”. Si occupava anche delle ricetrasmittenti utilizzate per le comunicazioni con le forze Alleate per i lanci paracadutati di materiale militare e i viveri, dimostrando anche in quei frangenti le sue innate doti di grande organizzatore, oltre che di uomo coraggioso e pronto al sacrificio, se necessario. Val qui la pena ricordare che nel 1944 ottenne una seconda laurea in Scienze politiche. Roma fu liberata, gli Alleati accolti da popolo in festa, mentre al nord infuriava la sanguinosa guerra civile tra i partigiani e le temibili formazioni fasciste della Ettore Muti, sorta di milizia politica, a difesa della Repubblica sociale italiana, guidata da Benito Mussolini dopo il crollo del regime e la fuga dal Gran Sasso, dove era prigioniero, con l’aiuto dei tedeschi guidati dall’ufficiale Otto Skorzeny. Carlo Alberto nei giorni della Liberazione di Roma fu destinato al Nucleo dei Carabinieri addetti alla Presidenza del Consiglio e quindi alla Legione della capitale.

Nel corso del 1945 fu inviato a Salsomaggiore, promosso tenente, e dal 1946 al 1948 alla Compagnia di Casoria, nella Legione di Napoli. Nel nuovo grado di capitano in quel periodo campano Carlo Alberto ebbe il suo primo importante impatto contro la criminalità organizzata, la camorra, che imperversava insanguinando le strade e le campagne con la violenza delle sue famiglie. Il giovane capitano, grazie alle spiccate doti organizzative e alle sue indubbie qualità di fine investigatore, portò a termine molte importanti operazioni contro i capi locali e i loro uomini.

LA PRIMA LOTTA CONTRO LA MAFIA

Dopo il matrimonio con Dora celebrato a Firenze, Rita, la prima figlia, nacque a Casoria nel 1947. Fernando, per tutti Nando, nel 1949, e Simona Maria, nel 1952, nacquero a Firenze dove Carlo Alberto tra il 1948 e il 1949 fu destinato al comando della Compagnia esterna. Nel settembre di quello stesso anno venne

costituito il (CFRB) attivo in Sicilia, sotto il comando del colonnello Ugo Luca, già ufficiale dei Servizi segreti. Carlo Alberto si era offerto volontario per quel nuovo incarico, in una terra, la Sicilia, che

aveva sempre avuto nel cuore, avendo vissuto da ragazzo, al seguito delle destinazioni del padre, ad Agrigento per alcuni anni. Inoltre, nel 1949, suo suocero, padre di Dora, aveva assunto il comando della Legione di Palermo, da cui di fatto dipendeva. Erano gli anni del bandito Salvatore Giuliano, dei contadini che avevano ancora in casa le armi utilizzate durante l’avanzata degli Alleati dopo lo sbarco in Sicilia, della strage di Portella della Ginestra, di frequenti e sanguinosi scontri con i Carabinieri. Giuliano era ormai una

sorta di star, si faceva intervistare dalla radio e fotografare dai rotocalchi. Per Carlo Alberto dalla Chiesa fu un’esperienza dalla quale molto seppe apprendere nella metodologia investigativa ad ampio raggio.

A dalla Chiesa fu assegnato il comando del Gruppo squadriglie di Corleone, in provincia di Palermo, cittadina ad alta intensità di presenza mafiosa, con varie famiglie spesso in guerra tra loro, con numerosi atti criminali e omicidi che erano rimasti tutti impuniti.

PLACIDO RIZZOTTO

Placido Rizzotto era un giovane sindacalista socialista nato a Corleone il 2 gennaio 1914.

Durante la Guerra prestò servizio sui monti della Carnia. Dopo l’8 settembre fu partigiano. Uomo

determinato e carismatico, fu segretario della Camera del Lavoro di Corleone. Fu rapito dalla mafia e il suo corpo martoriato ritrovato il 10 marzo 1948. I resti di Rizzotto furono ritrovati proprio dopo le indagini di Carlo Alberto dalla Chiesa, il quale con grande acume investigativo scoprì e fece arrestare colui che era stato il mandante dell’omicidio, il giovane nascente boss Luciano Liggio, insieme a due suoi gregari.

La lotta alla mafia corleonese non riuscì però a dare frutti decisivi dal punto di vista giudiziario.

Il CFRB fu sciolto e Liggio e i suoi furono assolti.

A MILANO, ROMA E TORINO

Anche per ragioni di sicurezza Carlo Alberto fu inviato di nuovo a Firenze dove lavorò fino al

1952, per essere poi trasferito a Como e quindi a Milano, città da lui sempre molto amata, dove

diresse la compagnia interna dal 1955 al 1957, poi aiutante maggiore della 1^Divisione Pastrengo fino

al 1960, infine comandante del gruppo interno. Quella milanese fu senz’altro un’esperienza molto importante, nella città che era diventata la capitale del boom economico ma che già intravedeva nuove forme di criminalità organizzata, diverse da quella ancora rurale della Sicilia e della Campania. Dalla Chiesa mise in piedi una nuova organizzazione dal punto di vista investigativo, instaurò il sistema dei ponti radio che consentivano una migliore e più efficiente rapidità di intervento. Nel 1963, anche grazie a questi successi, fu promosso tenente colonnello e trasferito a Roma come capo ufficio presso la VI Brigata.

Pochi mesi dopo un nuovo trasferimento, questa volta a Torino, come capo ufficio addestramento

alla Legione allievi. Un incarico importante, certo, ma che sembrava non tenere conto del fatto che Carlo Alberto era soprattutto un uomo da prima linea, un soldato in trincea. Fu però una esperienza di breve durata perché di lì a poco tornò a Milano per dirigere il Nucleo di Polizia Giudiziaria e quindi al gruppo della città. Nel suo destino c’era però ancora una volta la vecchia amata Sicilia.

LA SECONDA GUERRA DI MAFIA

A dalla Chiesa fu proposta un’alternativa, dopo Milano. Recarsi a Bolzano, centro del terrorismo altoatesino. Carlo Alberto chiese e ottenne, però, di andare a Palermo, anche per accontentare la moglie Dora, il cui padre, Ferdinando, dopo il congedo dall’Arma nel 1954, era rimasto nel capoluogo siciliano con l’altra figlia, Lydia. Per questa nuova missione in Sicilia, che potremmo definire come la seconda guerra di

mafia, il colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa diede subito inizio ad una riorganizzazione interna alla Legione. Lui stesso andava, a sorpresa, nelle caserme per verificarne l’efficienza. Voleva anche trasmettere una immagine positiva dell’Arma, in modo che l’opinione pubblica vedesse coi propri occhi che lo Stato era presente. Noto per il suo rigore, il suo decisionismo, ma anche per doti umane di spiccata sensibilità, come dimostrò nel gennaio 1968 quando i suoi carabinieri furono in prima linea per i soccorsi successivi al devastante terremoto del Belice. Il colonnello chiamò con sé alcuni vecchi collaboratori, abili investigatori

e a lui fedelissimi. Tra questi ricordiamo il capitano Giuseppe Russo che nel 1977 fu ucciso in un agguato mafioso a Corleone. Dalla Chiesa nella seconda metà degli anni Sessanta coordinò molte operazioni sul campo e collaborò con la Commissione antimafia. Nel marzo 1969 presentò alla Commissione un nuovo importante strumento investigativo per il contrasto alle famiglie mafiose. Le cosiddette schede dei mafiosi che consentivano di mettere nero su bianco le relazioni parentali, utili a delineare gli scenari in cui operavano i vari boss e i loro gregari. Il 4 novembre 1970 il colonnello dalla Chiesa presentò alla Commissione una planimetria della città di Palermo con aree indicative dei luoghi in cui vivevano e operavano le diverse

famiglie mafiose, con interesse rivolto soprattutto alle nuove allettanti aree edificabili per un business, quello dell’edilizia, sempre più nelle mani dei boss. Dalla Chiesa non trascurava però metodologie classiche, come il ruolo degli informatori, che consentirono sviluppi investigativi sul nascente e lucroso traffico di eroina tra la Sicilia e il nord Italia, in particolare la rotta Palermo-Milano, dove prosperava la cosiddetta “mafia del nuovo corso”. Uno di questi informatori, Vincenzo Guercio, fu vittima di “lupara bianca” nel luglio 1971. Non fu mai ritrovato. Dopo il fallimento nel 1968 del processo di Catanzaro

contro i protagonisti della prima guerra di mafia, le cosche rialzarono la testa. Il 16 settembre fu rapito e mai più ritrovato il giornalista Mauro De Mauro, che, tra l’altro, stava conducendo un’inchiesta molto delicata

sulla morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, dopo il misterioso incidente aereo in cui perse la vita. Il 5 maggio 1971 un’azione clamorosa da parte di un commando con l’assassinio addirittura del procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione. Delitti che peraltro portarono come conseguenza sul campo una maggiore collaborazione investigativa tra le diverse forze contro i nuovi gruppi emergenti, sempre più

sanguinari e militarizzati, della mafia. Il 29 luglio 1974 ancora una volta l’imponente lavoro investigativo congiunto si concluse in un’aula di Giustizia con assoluzioni che fecero svanire l’effetto di quell’attività.

GLI ANNI DI PIOMBO

Nell’ottobre 1973 dalla Chiesa venne trasferito a Torino e poco dopo fu promosso Generale. Dalla Sicilia mafiosa ad un territorio che stava diventando il fulcro di un nuovo genere di criminalità organizzata, quello dei gruppi terroristici di estrema sinistra. Entriamo nel pieno dei cosiddetti anni di piombo. Il 18 aprile 1974 le Brigate Rosse sequestrarono il sostituto procuratore di Genova, Mario Sossi, che era il pubblico ministero del processo contro il Gruppo XXII ottobre, ala delle stesse BR. I terroristi chiesero uno scambio: i detenuti

a processo e condannati contro la vita del magistrato. Durante il sequestro, il 9 e il 10 maggio, tre detenuti brigatisti nel carcere di Alessandria presero in ostaggio tredici persone. La loro liberazione in cambio della possibilità di  fuggire indenni dal carcere. Ebbe così inizio una lunga trattativa che fu interrotta dalla decisione di intervenire con un blitz militare da parte del procuratore generale di Torino, Carlo Reviglio

della Veneria. Operazione condotta sul campo dagli uomini del Generale dalla Chiesa. Durante il blitz persero la vita due detenuti, due agenti di custodia e tre civili. Ci furono ovviamente polemiche, soprattutto di natura politica, ma dopo il rilascio di Sossi, il Ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani accolse l’idea elaborata dal Generale dalla Chiesa di contrastare il brigatismo e le altre neonate formazioni similari istituendo il Nucleo speciale di polizia giudiziaria.

IL NUCLEO SPECIALE

L’idea fu accettata e il Generale si mise subito all’opera, forte anche dell’esperienza investigativa maturata coi suoi uomini in Sicilia. Il fenomeno brigatista andava studiato nel suo complesso per cercare di conoscerlo in profondità. Gli uomini del Nucleo furono personalmente selezionati dal Generale, avevano il vincolo della segretezza assoluta, dovevano studiare e applicare nuove metodologie investigative, collaborare strettamente con i magistrati del pool antiterrorismo dell’ufficio istruzione di Torino. Fecero ricorso a tecniche di pedinamento e di infiltrazione.

L’ARRESTO DI CURCIO E FRANCESCHINI A PINEROLO

L’8 settembre 1974, a Pinerolo, in provincia di Torino, furono arrestati due capi storici delle Brigate Rosse, Renato CurcioAlberto Franceschini, grazie anche all’opera di infiltrazione nei vertici dell’organizzazione di Silvano Girotto, detto “frate mitra”, sacerdote francescano e al contempo

guerrigliero in Sud America. Seguirono mesi di intensa attività, con importanti successi ma anche con drammatici momenti in cui non pochi “servitori dello Stato” persero la vita negli scontri a fuoco con i brigatisti

o a seguito di loro efferate vendette. Furono costituite sezioni del Nucleo anche a Milano, Roma e Napoli.

SICURPENA E LE CARCERI SPECIALI

Nel maggio del 1977 Carlo Alberto fu nominato al comando del Coordinamento del servizio

di sicurezza esterna degli istituti penitenziari, la cosiddetta Sicurpena, con la creazione di carceri di massima sicurezza per la detenzione dei terroristi più pericolosi, personalmente selezionati da dalla Chiesa.

IL CASO MORO

Dopo le dimissioni del Ministro dell’Interno Francesco Cossiga, il nuovo titolare, il Ministro Virginio Rognoni, chiese a dalla Chiesa, diventato Generale di Divisione, di costituire una nuova struttura  antiterrorismo, alla quale Carlo Alberto chiamò molti dei suoi ex collaboratori, con ampia libertà d’azione su tutto il territorio nazionale. I risultati furono di grandissimo rilievo con importanti arresti e la scoperta di molti documenti utili alle indagini e ai processi contro i brigatisti. Dalla Chiesa passò quindi al comando della divisione Pastrengo a Milano che aveva giurisdizione su tutto il Nord Italia. Il 19 febbraio 1980 a Torino fu arrestato il brigatista Patrizio Peci che divenne il primo e più importante pentito delle BR. Così scrisse dalla Chiesa nel suo diario: “Sulla strada che così si è aperta io vedo all’orizzonte una grossa botta a tutta l’organizzazione delle BR”.

L’ASSASSINIO DI WALTER TOBAGI

Furono mesi terribili, con i nuovi capi delle BR e di altre formazioni sempre più decisi a condurre una

vera e propria guerra contro lo Stato. I telegiornali aprivano quasi ogni giorno i notiziari con la cronaca di nuovi delitti, sempre contro uomini che si erano distinti a livello politico o professionale, come riformisti.

Il distacco tra la classe operaia cui si rivolgevano i terroristi e le organizzazioni clandestine era sempre più evidente. Lo Stato stava vincendo, i terroristi entravano sempre più spesso in carcere. Il 28 maggio 1980, a Milano, a pochi metri dalla sua casa dove abitava con la moglie e una figlia, l’inviato del Corriere della Sera, un giovane e brillante cronista che si era distinto nello studio del fenomeno di questi gruppi terroristici, Walter Tobagi, fu assassinato da un commando di giovanotti che, nel tentativo di accreditarsi presso figure più importanti e già da tempo operative del brigatismo, misero nel loro mirino un uomo per

bene, un cattolico con idee riformiste, un padre di famiglia. Marco Barbone e altri terroristi in erba furono arrestati dagli uomini del Generale dalla Chiesa nel giro di poco tempo.

L’ULTIMO ATTO, PREFETTO

Dopo le dimissioni di Francesco Cossiga da Ministro dell’Interno, a seguito del caso Moro, Carlo Alberto dalla Chiesa accettò dal nuovo Ministro dell’Interno, Virginio Rognoni, di congedarsi dall’Arma per assumere l’incarico di Prefetto di Palermo nella lotta a Cosa Nostra. Il Prefetto prese servizio a Palermo il 6 maggio,

come attesta la lettera con cui Carlo Alberto dalla Chiesa comunica, la sera del 5 maggio, al Comandante della Legione di Torino, suo vecchio amico e collaboratore, Vincenzo Oresta di lasciare le file attive dell’Arma e la carica di Vice Comandante Generale. L’omicidio di Pio La Torre, segretario regionale del Partito comunista in Sicilia, aveva fatto anticipare i tempi. Il 30 aprile Carlo Alberto dalla Chiesa era già a

Palermo per i funerali di La Torre. Si mise subito all’opera concentrando l’attenzione investigativa verso i Corleonesi e verso l’espansione di Cosa Nostra da Palermo alla Sicilia orientale.

EMANUELA

Il 10 luglio 1982 il Prefetto sposò la giovane Emanuela Setti Carraro  infermiera volontaria della Croce Rossa che, dopo le nozze, decise di trasferirsi con lui in Sicilia.

LA SENTENZA DI MORTE

La sera del 3 settembre, mentre transitava in via Isidoro Carini, su una A112 bianca, seguita da una Alfetta della Polizia guidata dall’agente Domenico Russo, l’auto fu affiancata da un commando che uccise Emanuela, Carlo Alberto e Russo con una sventagliata di kalashnikov. Il 5 settembre una telefonata anonima arrivò al quotidiano la Sicilia: “L’operazione Carlo Alberto è conclusa”.

PROCESSI E CONDANNE

Il Giudice Istruttore Giovanni Falcone e il sostituto procuratore Giuseppe Ayala diedero vita al più importante processo contro Cosa Nostra. La causa del delitto del Prefetto, di sua moglie e dell’agente di scorta, fu individuata nelle nuove dinamiche interne alle famiglie mafiose, soprattutto alla volontà della sempre più potente cosca dei Corleonesi di eliminare un ostacolo alla loro ascesa. Negli anni successivi, soprattutto

dopo il pentimento del boss Tommaso Buscetta, furono avanzate altre ipotesi per delineare la strategia scelta dai vari Riina, Provenzano, Brusca, con ipotetiche complicità anche in ambito politico.

Pochi giorni dopo il delitto di via Carini fu approvata la legge che introduceva il reato di associazione mafiosa, la

cosiddetta Rognoni-La Torre.

CONDANNATI ALL’ERGASTOLO COME MANDANTI I BOSS

Condannati all’ergastolo come mandanti i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Nenè Geraci. Come esecutori materiali Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, condannati all’ergastolo. Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci a 14 anni di reclusione.

“Certe cose non si

fanno per coraggio,

si fanno solo per

guardare più

serenamente negli

occhi i propri figli e i

figli dei nostri figli”.

 

Carlo Alberto dalla Chiesa

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