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FOTO. “Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane”.

 

 

di Piergiacomo Oderda

 

In una fotografia di Riccardo Venturi (Roma, 1966), tre detenute sono colte nell’atto di guardare verso un punto imprecisato. Vicino a loro gattona un bambino. Una ragazza ha il pollice della mano destra sulla fronte corrugata, la sigaretta tra l’indice e il medio, nell’altra mano un bicchierino da caffè. Pare un momento di riflessione, obiettivo della mostra allestita presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico della Regione Piemonte (via Arsenale 14 a Torino), promossa dalla Confederazione regionale dei volontari della giustizia di Piemonte e Valle d’Aosta. Il titolo riprende un’opera di Bruce Chatwin, “Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane”. La legge 62/2011 ha valorizzato il rapporto tra madri detenute e figli, con il riferimento a disporre “la custodia cautelare presso un Istituto a custodia attenuata per detenute madri” (ICAM). A Torino, nel complesso della Casa circondariale “Lorusso e Cutugno”, è ospitato in una palazzina dentro la prima cinta muraria ma esterna alla parte più detentiva del carcere. La capienza è di 11 mamme e 15 bambini che possono frequentare l’asilo nido “Elvira verde” e la Scuola dell’infanzia di via Primula 36. L’associazione “Errata corrige” raccoglie, attraverso donazioni, giochi che distribuisce a Natale o in occasione di altre feste significative.

Le fotografie di cinque artisti di fama mondiale in cinque istituti penitenziari femminili (Rebibbia a Roma, San Vittore a Milano, Giudecca a Venezia, oltre ad Avellino e Torino) costituiscono un “input” prezioso per la riflessione su relazioni non sempre facili. Si passa dal passeggino abbandonato con sullo sfondo edifici scrostati (Mikhael Subotzki, Cape Town, Sudafrica, 1981) al bimbo che ti sembra fulminare con gli occhi dal fondo di una culla (Francesco Cocco, Recanati, 1960). C’è spazio per l’allattamento, le matite sul banco in un toccante bianco e nero, la mamma vicino a libri coloratissimi, un inusuale accostamento tra un pallone e i tatuaggi di una detenuta. Ci si sente osservati dalla parete dove sono accostati i ritratti a colori di Luigi Gariglio (Torino, 1968) e ci si commuove di fronte all’effetto ottico creato da Marcello Bonfanti (Milano, 1972), una mamma alza il suo piccolo fino al punto di congiunzione tra le mura che limitano la loro libertà. Riprendo via Arsenale, tra lo sferragliare dei tram, con gli occhi ancora segnati da quella fitta rete di un box che nasconde un volto di un bimbo con occhi e bocca spalancati e che evoca ancora la loro condizione in carcere.

Piergiacomo Oderda

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