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Con il vescovo Olivero tra arte (“La cena in Emmaus” Caravaggio) e Cristo pane della vita

 

di Piergiacomo Oderda

 

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«Quando vai ad incontrare l’arte, cambiati la camicia!». Mons. Olivero spiazza l’uditorio ormai abituato alla proiezione dell’opera d’arte su grande schermo. Siamo nella chiesa di san Domenico durante la fiera dell’artigianato e stavolta spicca al centro del presbiterio una tavola apparecchiata per due con tre pagnotte, una mela, un fico. Il vescovo dispone con cura le copie della nuova lettera pastorale, “Lo stupore della tavola”, e consegna a ciascuno una cartolina con la riproduzione de “La cena in Emmaus” (Caravaggio, 1601, National Gallery, Londra). Nel frattempo, ammiriamo “La canestra” (1594/98, Biblioteca Ambrosiana, Milano). L’obiettivo: «aprire gli occhi su una delle cose più quotidiane, mangiare. L’arte non riproduce il reale, rende visibile ciò che non vediamo. Lasciamo che Caravaggio ci faccia aprire gli occhi». Quando ci si siede a tavola, è tutto «talmente normale» (qui il vescovo sussurra) che «non ci si rende conto di ciò che capita, il tavolo è diventato muto». Mons. Olivero scandisce: «la vita è quella cosa che capita mentre noi facciamo altro». Alza una pagnotta, «vi è mai successo di arrivare una volta a casa, di sedervi e dire: “ah, c’è il pane!”». L’esclamazione di stupore è la stessa con cui più tardi commenta la figura del discepolo di destra che Caravaggio ritrae nell’atto di allargare le braccia. Spesso, nei discorsi del vescovo, ricorrono degli elenchi. In questo caso, sottolinea quanti contribuiscono alla preparazione del pane, «contadino, mugnaio, panettiere, chi raccoglie le olive per fare l’olio, chi ricava il sale dal mare». «L’essere umano ha bisogno di qualcosa che arrivi da fuori per essere vivo». Le sedie al tavolo sono due, «sto aspettando qualcuno, abbiamo bisogno di pane e di affetti per vivere». Talvolta non hai voglia di mangiare perché «manca un senso a quel giorno, il senso bisogna toccarlo»; una pizza in compagnia può aiutarti a «capire che c’è un gusto al vivere».

Caravaggio «si è fermato per giorni a guardare mela, fichi, uva e a dipingerli». Ha avuto coraggio a dedicare un quadro alla mela come se si trattasse di un re o del Bambin Gesù nella greppia. «Sembra dissacrante ma tutto è sacro, tutto ha importanza se lo guardi davvero». Un critico non credente ha definito “La canestra” un’ostensione. Cita S. Weil, “contempla una mela solo chi per un po’ decide di non mangiarla”. Il vescovo osserva che a sinistra il quadro è più luminoso, a destra c’è una zona d’ombra. E’ quasi un arco, «la giornata della vita, si nasce, si cresce, si muore», lo evidenziano le foglie avvizzite sulla destra. Se la pera è luminosa, la mela è bacata, il fico spaccato, «la vita è bellissima ma esiste anche il limite». Spiega l’etimologia di “nihil” (nulla in latino), «manca il filo che lega le cose e gli dà un colore».

“La Cena in Emmaus” è il quadro di riferimento per quest’anno pastorale. Il vescovo vorrebbe che si appendesse nelle case e nelle parrocchie la riproduzione che sarà disponibile a breve. Sussurra per evidenziare che «quando ti siedi a tavola arrivi da una storia». Rievoca ciò che frulla nella testa dei discepoli di Emmaus, alla morte di Gesù: «ci è caduto il muro addosso, la vita è una fregatura, ogni tanto fai dei sogni, cadi e poi è peggio di prima». Gesù cammina con loro per due ore (undici chilometri), lo invitano a mangiare insieme; fa un gesto e riconoscono che quel tale è Gesù, «si scopre il senso al vivere». Uno tira indietro la sedia che ci viene quasi addosso, l’altro allarga le braccia. «La mano del discepolo di destra sembra toccarti il naso, non ti stupisci tu?». Le braccia sono aperte come Gesù inchiodato sulla croce, come a dire «l’ho visto in croce e adesso è qui». Spicca la conchiglia dei camminatori di Santiago di Compostela, «se è vero che Gesù è andato oltre la morte, ha un senso camminare». Più che benedire, Gesù dice “vai!”, «Andate, rifate gli undici chilometri per dire a tutti che la vita è così!». Come già ne “La canestra”, anche qui il cesto è in bilico, «la vita è sempre in bilico!». Il vescovo mima ancora la postura dell’oste esterrefatto, “sono ben strani questi”! «Può esserci Dio ma se sei pieno di te, di cose da fare, non lo vedi».

Rapido il confronto con “La Cena in Emmaus” del 1606 (Pinacoteca di Brera, Milano) dove al rosso e al bianco si sostituiscono il grigio e il verde, anche i movimenti appaiono trattenuti. Il 27 maggio di quell’anno Caravaggio uccide Tomassoni, deve migrare senza soldi né lavoro, con la paura di essere braccato e condannato a morte. La scena è la stessa ma il pittore sembra dire, «ci credo ma quanto è dura adesso crederci». Il discepolo di destra ha un orecchio dalle misure spropositate, «fammi capire, è difficile credere a tutto questo». Sul tavolo restano solo più pane e vino, «più che una cena è una messa».

Piergiacomo Oderda

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