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Gli Europei di calcio. Cara RAI abbi pietà di noi. I teorici dell’ovvio

24/06/2024 7:41

Gli Europei di calcio.

Cara RAI abbi pietà di noi

 

Sono in corso gli Europei di calcio e la RAI, garantendo un ottimo servizio per coloro appassionati di  football, trasmette gran parte delle gare in programma: questo è un punto di merito da riconoscere alla TV di Stato.

Da sempre in Italia il calcio non è tanto quello  giocato sul campo quanto quello che gli ruota intorno: fiumi in piena di parole.

Da anni siamo vessati da quei giornalisti perennemente in agguato a bordo campo, la cui unica, ma imprescindibile, missione è renderci edotti che il nostro mister, stizzito, ha sferrato una manata contro la panchina o ha dato indicazioni ai suoi  di “pulire la palla…”

Del resto sappiamo che  compito del bravo giornalista è raccontare sempre tutto, ma proprio tutto quello che accade, anche a bordo campo.

Noi Italiani viviamo il calcio  come uno  scenario su cui  proiettare angosce, timori e speranze che travalicano l’ avvenimento sportivo e  investono addirittura l’ intera nazione.

Della nazionale mi dà fastidio questa retorica secondo cui dal comportamento degli azzurri pare dipendano le sorti della nazione stessa, quasi i calciatori fossero dei moschettieri”, disse già negli anni Sessanta Gianni Agnelli.

Ma veniamo ora al momento dell’ intervallo: dovrebbe essere una pausa anche per il telespettatore e, invece, la tortura della goccia cinese perennemente gocciolante sul capo continua con gli interventi, sempre uguali a se stessi, dei commentatori, o meglio dei “teorici dell’ovvio”, scesi direttamente sul campo, perché solamente dal terreno di gioco è possibile dare il meglio di sé.

Deo gratias ci viene in soccorso mister Spalletti: soltanto lui sa fornire quella profondità di pensiero mancante agli altri. Recentemente il tecnico toscano, sulle cui capacità non nutro dubbio alcuno, per spiegare la sconfitta contro la Spagna ha testualmente dichiarato “dobbiamo recuperare il concetto delle idee che vogliamo mettere in pratica”.

Eh sì,  il calcio ormai è anche diventato speculazione filosofica e il nostro mister lambisce talvolta i confini dell’ ontologia e pure della metafisica. In confronto il Trap, a cui inviamo un affettuoso saluto, era un presocratico.

L’ apoteosi circense, tuttavia, si  manifesta nel programma dedicato al post partita:  un sommo simposio al quale  partecipa il fior fiore della italica intellighenzia pallonara.

Per un semplice cameo vengono invitati in tanti e forse anche in troppi. Ma più si è, meglio è, proprio come quando da ragazzini si giocava al pallone in Piazza d’ Armi.

Vi partecipano ex calciatori riesumati dall’ oblio cui erano rassegnati e riportati alla luce artificiale degli studi televisivi.

 Va riconosciuto che il rivedere qualche calciatore del passato ci consente anche un melanconico amarcord, il che non è poi così sgradevole.

Il vero acme della sofferenza inferta a chi guarda il programma si ha quando  intervengono anche attori, uomini di spettacolo e chi più ne ha ne metta. E poi che dire di quelle immancabili bellezze muliebri che, anche in virtù della beauté de l’âge, offrono sempre una piacevole visione. Finalmente il telespettatore, sempre più stanco di tanta ridondanza  verbale fine a se stessa, è istintivamente costretto da queste presenze femminili a  risollevare le stanche palpebre, potendo finalmente riposare l’ udito: vuoi mettere una bella donna in confronto a quei commenti melensi che nemmeno in un vecchio Bar Sport degli anni Settanta avrebbero ricevuto ospitalità.

Alla resa dei conti, per l’ appassionato di calcio le alternative sono due:  assistere alle maratone del post partita sino allo sfinimento e poi richiedere al governo il “bonus psicologo” oppure, scelta più  responsabile in veste di contribuente, cambiare canale e  rinunciare al bonus.

Concludo con una nota positiva che, però, non pertiene alla RAI: le divise ufficiali con la scritta Italia, visibili a caratteri cubitali  sulla schiena delle giacche, sono  degne di un gentleman d’ oltremanica. Non fossimo a conoscenza del fatto che a disegnarle sia stato l’emblema per antonomasia del made in Italy, il cui nome è Giorgio Armani, saremmo indotti a ritenere che il pensiero geniale sia opera di una storica sartoria di Savile Row, perché l’ understatement britannico non ammette deroghe: less is more.

Ivan Albano

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