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E mail a una professoressa.Come la scuola può battere le mafie. Esperienza scuola in carcere

13/03/2024 11:38

“Cara scuola ti scrivo, così mi distraggo un po’”. Frate Giuseppe Giunti prende spunto dal brano di Lucio Dalla per far scrivere i detenuti. Ricorda nell’incontro di presentazione del libro “E mail a una professoressa. Come la scuola può battere le mafie” (Effatà 2023) presso l’Istituto Avogadro di Torino, chi a 58 anni sta studiando per la licenza della secondaria di primo grado; spostava miliardi, viveva per il potere, “ragionando sul suo passato” ha capito che “la scuola poteva essere un’altra vita”. “Raccontami cos’hai imparato a scuola questa settimana” chiede un altro detenuto che ha imparato a scrivere in stampatello nella videochiamata alla figlia.

La tazza rotta aggiustata con l’oro (in giapponese "kintsugi") è metafora per il criminale quando decide di mettersi dalla parte della legalità per divenire collaboratore di giustizia, “diventa più prezioso di prima”. Riprende l’art. 27 Cost., “il carcere deve rieducare il condannato, la giustizia non è vendicativa, ma rieducativa”.

La giornalista Marina Lomunno rilancia agli studenti una domanda, “Che tipo di informazione passa nei mass media sul carcere?... Se ne parla quando succedono fatti di cronaca nera, risse, suicidi, evasioni”. Il problema dei suicidi investe non solo i detenuti, anche gli agenti di polizia penitenziaria, “anche chi lavora in carcere è detenuto”, gli educatori sono pochi. E’ un microcosmo, intervengono anche dei professori del Plana, del Liceo Artistico per tenere dei corsi. Il giornale diocesano “La voce e il tempo” dedica con cadenza quindicinale una rubrica per “evidenziare cosa di buono si possa fare in carcere”. Ricorda Meco Ricca, il cappellano del Ferrante Aporti che ci ha lasciato da pochi giorni. Per tradizione riveste questo compito un salesiano, “Don Bosco ha inventato il sistema preventivo andando a visitare i giovani discoli e pericolanti alla Generala”. Sosteneva che “in ogni giovane anche il più disgraziato c’è un punto accessibile al bene”.

Bruno Mellano, garante per i diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, cerca di rispondere ai quesiti “Cos’è il carcere? Quale carcere?”. Sono sessanta mila i detenuti sparsi nelle 189 carceri italiane. Alla Casa Circondariale Lorusso e Cutugno sono in 1400 a fronte di una capienza di mille persone. Nel carcere di Verbania sono settanta su una capienza regolamentare di cinquanta, “è un’altra storia, un’altra vita quotidiana”. I detenuti sono suddivisi per popolazione, tipo di reato, percorso trattamentale. Il carcere di Milano Bollate è un modello, tutti vogliono essere trasferiti là perché c’è “lavoro, formazione, scuola, relazioni, educatori, mediatore, un direttore stabile”. Racconta del carcere di Fossano (CN) dove mura di tre metri risultano più modificabili di quelle in cemento armato; si è dovuto interfacciare con la sovrintendenza dei beni culturali per aprire una porta che consentisse una lavorazione in contatto con l’esterno. “Chi c’è in carcere?”, c’è chi compie delitti efferati e chi ha rubato al supermercato. Non manca di sottolineare il problema della recidiva, finché non si incontra una persona particolare, un insegnante per esempio, il detenuto ha il destino segnato. L’offerta di un percorso scolastico o lavorativo incide sulla recidiva. Con la prospettiva di una lunga detenzione, c’è chi entra con la licenza elementare e arriva al percorso universitario. Oltre ai sessanta mila detenuti ce ne sono altri cento mila sottoposti a differenti vincoli della libertà personale. Cita i CPR, centri di permanenza per il reimpatrio di immigrati clandestini, le residenze sanitarie. I garanti hanno il potere di andare a vedere i luoghi, suonare il campanello anche a mezzanotte del carcere per esaminare il sottosuolo dell’isolamento dove qualcuno ha battuto la testa. Possono avere colloqui riservati personali, anche in cella. E’ figura autonoma e indipendente dall’amministrazione penitenziaria. Il sistema penitenziario può trasformare il peggiore dei criminali in vittima qualora manchi il servizio sanitario, la formazione previste per legge.

Fra Beppe Giunti cita un libro scritto da Christian Raimo con i suoi studenti di un liceo della periferia orientale di Roma, “Lettera alla scuola. La III M dell’Istituto Amaldi di Roma” (Feltrinelli, 2024). Mostra un video dal titolo “Voce ristretta” girato da lui in collaborazione con Ahmed Osmar nella Casa Circondariale di Alessandria. Per spiegare come uno decida di fare il collaboratore di giustizia ricorda un criminale inviato a uccidere una donna per punire il clan nemico. Aveva due possibilità, obbedire o essere ammazzato a sua volta. Quando sente che la vittima era incinta al quinto mese come sua moglie ha capito quale vita d’inferno stava conducendo. 

Bruno Mellano aggiunge una considerazione, un terzo delle persone in carcere sono formalmente innocenti, il sistema costituzionale considera colpevoli chi riceve una condanna definitiva. Ogni anno si risarciscono mille persone per un’ingiusta detenzione. Un terzo di reati viene compiuto per procurarsi sostanze psicotrope, riflesso di marginalità sociale.

Occuparsi di carcere deriva dalla consapevolezza che un carcere che funziona costruisce sicurezza, far sì che il detenuto che torna in libertà non commetta più reati. 

Marina Lomunno racconta di un narcotrafficante in America, estradato in Italia e incarcerato a Viterbo dove consegue la maturità classica. Si laurea in scienze politiche e ora è volontario per la Caritas diocesana. In una visita al Ferrante Aporti insieme al vescovo Nosiglia aveva notato un ragazzo tunisino dai vistosi tagli sulle braccia. Sapeva che la mamma stava male e non potendo telefonarle aveva questo atteggiamento autolesionistico. Compresa la rilevanza dell’incontro, si era messo a pregare in arabo cantando.

Bruno Mellano narra di Camillo che si laurea in giurisprudenza a marzo. Ex capo camorrista, prepara le partecipazioni alla festa invitando due volontari e due professoresse, “questa è la mia famiglia”. Il garante riesce ad andarlo a trovare alle Molinette prima di una delicata operazione chirurgica; quando lo vede arrivare nel repartino dove non poteva entrare nessuno, scoppia a piangere.

Nella foto, 

 da sinistra la preside Anna Lisa Chiappetta, studenti, Bruno Mellano, Fra Beppe Giunti, Marina Lomunno

Piergiacomo Oderda

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