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“L’umiliazione sarà utile e necessaria fin tanto che non ci saremo evoluti”

27/11/2022 5:35

“L’umiliazione sarà utile e necessaria fin tanto che non ci saremo evoluti”

L’umiliazione serve in una società rimasta ancora fondamentalmente a uno stadio primitivo, come la nostra. Chi la pratica, oltre ad assicurarsi il predominio sull’altro, si protegge anche da eventuali attacchi; chi la subisce impara a vivere come un animale con la testa bassa e la coda fra le gambe. L’umiliazione è in sostanza uno strumento di potere che regola ancora le dinamiche di forza nella società. Però queste dinamiche nella società “moderna”, tanto per intenderci, sono più complesse di quanto possano sembrare. La nostra società si autodefinisce “civile”, ma il fatto che non sia ancora abbastanza civilizzata è dimostrato dalla legge animale basata sul principio oppressione-sottomissione che continua a persistere. Rispetto ad essa, il cosiddetto “avvento della civiltà” ha portato al contempo una rivoluzione e una frattura. La rivoluzione sta nella nuova coscienza di sé e dell’altro, che ha portato a un mutamento, sicuramente in positivo, delle relazioni umane. Ma dall’altro lato questa stessa rivoluzione ha costituito una frattura, perché, destabilizzando gli antichi schemi antropologici, ha posto in essere il confronto con altri e nuovi schemi che possono aver generato un senso di insicurezza. I problemi attuali nascono proprio da questo confronto, che spessissimo si determina come “scontro”, con sé stessi e gli altri. È sempre la risposta dell’uomo, difronte a una nuova istanza, a determinare il futuro suo e di tutta la società. Nel nostro caso specifico, l’uomo non ha ancora preso una decisione e si trova in uno ‘stato confusionale’, se si guarda ai fatti, perché invece a parole è bravissimo a lanciare slogan dietro cui spesso nasconde anche i suoi intenti più abietti. Chi umilia è fondamentalmente un debole perché usa il ‘linguaggio’ più facile e diretto per sottomettere l’altro senza tenere in alcun conto la possibilità di mettersi in discussione. E la ragione della sua debolezza sta o nella sua ignoranza – delle ‘nuove’ scoperte psicologiche e pedagogiche sull’intelligenza emotiva e tutte quelle che vengono dopo - o nella sua incapacità di arrischiarsi con altri metodi ‘meno sicuri’, che non garantiscono in maniera così immediata gli stessi effetti in autorità e preservazione di sé. La scuola, mi spiace dirlo, è per molti versi ancora il riflesso di una società che fa resistenza ai nuovi schemi mentali e relazionali. E, in un modo o nell’altro, contribuiscono a questa azione di resistenza tutti i soggetti coinvolti. E, nel marasma generale, la figura del docente appare sempre più controversa. Si critica apertamente il modello di docente autoritario, ma poi nell’immaginario collettivo resta l’ideale di riferimento, dando così origine a non poche contraddizioni. È più facile che sia considerato un insegnante ‘autentico’ colui che rispecchi più da vicino questo modello tradizionale rispetto a quello che invece se ne discosta. E, benché del secondo genere di insegnante possano apprezzarsi le particolari doti umane ed empatiche, tuttavia costui correrebbe il reale rischio di diventare il capro espiatorio delle frustrazioni accumulate da generazioni e generazioni.

Ernestina Morello

 

 

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