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Festa di San Giovanni a Torino e l'omelia del vescovo Roberto Repole

24/06/2022 19:16

La liturgia della solennità per la natività di Giovanni il Battista presenta alcune righe significative nel prefazio: “Noi ti lodiamo per le meraviglie operate in san Giovanni Battista, che fra tutti i nati di donna hai eletto e consacrato 
a preparare la via a Cristo Signore”. 

Mons. Roberto Repole nell’omelia per la festa del santo patrono di Torino riprende un’osservazione di Sant’Agostino (Discorso 293,1): “La Chiesa considera come cosa sacra la nascita di Giovanni, né si trova alcuno dei Padri di cui possiamo celebrare con solennità la nascita: celebriamo la nascita di Giovanni e celebriamo quella di Cristo”. Mons. Repole pone due volte la domanda: «Dove sta l’assoluta novità della natività di Giovanni il Battista? Sta in ciò che rappresenta, egli riassume tutta la vicenda del popolo a cui appartiene, il popolo ebraico, mostrando che tutta quella storia aveva un punto di convergenza e questo punto di convergenza non è niente altro che Cristo. Dove sta l’assoluta novità della natività di Giovanni il Battista? Sta in ciò che egli è stato, semplicemente uno che ha indicato un altro, che ha vissuto per permettere che si ponesse lo sguardo su quell’altro, Gesù Cristo. E noi cristiani viviamo la solennità della natività di Giovanni il Battista per riprendere confidenza che in un modo analogo anche la novità della nostra vita è racchiusa qui, la nostra vita è tanto più inedita, nuova, sorprendente quanto più non è concentrata su noi stessi ma è concentrata su Cristo».

Il tema della novità viene enunciato all’inizio dell’omelia di mons. Repole citando l’opera “Der Stern der Erlösung” (“La stella della redenzione”, 1921) di  Franz Rosenzweig. Il filosofo ebreo «ci invita a riconoscere che ogni nuova nascita è qualcosa di indeducibile, di imprevedibile, di unico, di singolare. Soprattutto è una novità assoluta, un miracolo che porta nel mondo qualcosa che non c’è mai stato e non ci sarà mai più. E questo lo sperimentiamo tutti ma lo viviamo in modo unico in alcune nascite particolari che hanno davvero segnato una svolta nell’esistenza della storia e della vita dell’umanità. E’ così della nascita di Giovanni il Battista».

In realtà la prima citazione di Franz Rosenzweig riguarda un tema decisamente spiazzante: «ogni nuova nascita porta con sé nuova paura di morte. Lo dice per dare inizio ad un pensiero che non può concentrarsi su una totalità astratta ma deve concentrarsi sulle persone concrete, sulla loro vita reale. E quando pensi a partire dalle persone concrete, dalla vita reale, allora fai i conti con la fragilità della vita, con delle vite che sono sempre un po’ sospese sulla morte». Questo pensiero fa da sfondo ad una preoccupazione che intende porre all’attenzione di tutti, chiesa e società civile, credenti e non credenti (binomio citato tre volte): «Viviamo in un Paese, l’Italia, che è sempre più anziano, vecchio, con un forte tasso di denatalità. In Piemonte e in questa nostra città, rischiamo di avere un record negativo. Siamo sempre più vecchi e ci sono sempre meno nascite. Credo che celebrare la natività di Giovanni il Battista significhi interrogarci tutti, chiesa e società civile sul perché siamo arrivati qui. Sul perché guardiamo alla nuova vita, invece come a quella novità che porta qualcosa di inedito, di bello, di fiducioso, di speranzoso, sul perché guardiamo alla nuova vita più con paura, con ansia, con trepidazione. Non possiamo nasconderci che una delle cause di ciò è il senso di precarietà lavorativa, esistenziale che contrassegna la vita dei più giovani. Dobbiamo interrogarci tutti credenti e non credenti se questo possa essere davvero il futuro delle nostra città, il futuro della nostra società. Si può impostare una cultura sul senso di precarietà strutturale del lavoro e dell’esistenza? Quando si imposta una cultura così allora la novità della vita, più che essere fonte di speranza, di fiducia, di bellezza rischia inesorabilmente di essere fonte di paura. Una paura che fa sì che poi andiamo a cercare la novità in altre realtà, non nella nascita di una nuova vita umana ma nella nascita di un nuovo prodotto commerciale da prendere e consumare: l’ultimo I-phone, l’ultimo I-pad o l’ultimo autoveicolo. Entrando in quel senso di amarezza che ci viene quando si scava dentro di noi, proprio per questo, il vuoto».

Per «promuovere la vita nella sua novità assoluta, nella sua bellezza assoluta e riconsegnare ai nostri giorni la bellezza dell’inizio della vita, ma anche la bellezza dell’inizio di ogni nuovo giorno» sceglie alcuni versi di Mariangela Gualtieri (1951) tratti dall’opera “Quando non morivo” (Einaudi, 2019).

“C’è nel mattino – sarà
per quella luce – una sottile ebbrezza
sarà per la bellezza
degli inizi – quella promessa
che sempre si nasconde
quando s’avvia un nuovo
qualche cosa.
Sarà il bello
di cominciare
con tutta l’energia rappresa
ancora intatta in gocce
tutta sospesa sopra il fare nostro”.

Piergiacomo Oderda

 

 

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