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“Mamma li Turchi”. Pirati saraceni a Cavour ed i piemontesi a Lepanto

27/05/2022 8:46

 “Mamma li Turchi”. Pirati saraceni a Cavour ed i piemontesi a Lepanto

 

di Dario Poggio

Parte seconda: I piemontesi a Lepanto

Dopo le distruzioni dei pirati saraceni a Cavour ed in Piemonte descritte sommariamente nella prima parte dell'articolo... quelle “Impia turcarum gens” portarono nelle nostre terre, seppur solo per subito riflesso, costumi e tradizioni di una avanzata civiltà, a quei tempi quasi sconosciuta nell'occidente medioevale ma molto originale, significativa e per molti aspetti assai più evoluta.

I saraceni introdussero, infatti, nuovi costumi di vita e nuove tecniche lavorative come gli ingegnosi sistemi di approvvigionamento idrico, l’utilizzo delle erbe alpine per la preparazione di distillati ed infusi, l‘utilizzo del grano saraceno, le piante di “ramassin “(termine saraceno delle

susine), la polenta nera e l’arrosto di montone. Furono poi bravissimi nello sfruttamento delle risorse minerarie dove utilizzavano schiavi cristiani per le estrazioni di oro, argento ed altri materiali (il vescovo Venanzio scriveva a Roma che oltre mille schiavi cristiani erano utilizzati dai mori nelle miniere e nei molini delle nostre vallate piemontesi da loro occupate).

Queste attività minerarie erano effettuate in Valluria (vicino al col di Tenda), in valle Po (vicino a Crissolo), al Seguret (vicino ad Oulx) nella valle della Dora Riparia.

Finalmente, nel 972, la “Cristianità” trovò la forza e il coraggio di reagire all'occupazione ed ai soprusi formando una “Lega” per scacciare dalle nostre terre i saraceni.

Il marchese di Torino, Arduino Glabrione, con Guglielmo di Provenza, Rotbaldo di Arles, Oberto di Lunigiana, Attone di Canossa, Aleramo di Monferrato ed altri condottieri si attivarono e mossero uniti contro “i Mori”.  

Nelle nostre contrade, il marchese di Torino, con i suoi soldati risalì le valli del Pellice, del Chisone, di Susa e del Cuneese (in particolare in val Varaita a Sampeyre la cacciata dei saraceni viene ancor oggi ricordata con una folcloristica manifestazione locale denominata “La Baìo “) spazzando via le bande e gli stanziamenti locali dei saraceni.

Analogamente operarono il conte di Provenza e suo fratello Rotbaldo che attaccarono e distrussero la base di “La Garde Freinet “in Provenza costringendo i pochi superstiti saraceni a precipitosa fuga prendendo il mare sulle loro veloci feluche.  

Saltuarie scorrerie saracene nelle nostre zone vennero, purtroppo, fatte ancora in periodi molto successivi, ossia nel 1542 / 1543, quando una rada, sempre fra Marsiglia e Tolone, venne “affittata” ai corsari barbareschi da Francesco I°, Re Francia, perché da lì muovessero contro l’imperatore Carlo V° e, soprattutto, contro il suo alleato il duca Emanuele Filiberto di Savoia.

Al diffondersi di tale funesta notizia, le popolazioni di tutte le regioni italiane furono prese giustamente da sgomento e terrore ben sapendo, per trascorse esperienze, cosa voleva dire avere una base saracena “quasi” alle porte di casa.    

Questo sciagurato patto” Franco- Turco” passò alla storia come “L’Empia Alleanza “e procurò alle città costiere italiane, all’entroterra ligure e al nizzardo (con alcuni possibili affondi anche in terra piemontese seppur non documentati) terribili danni e massacri (una flotta barbaresca forte di oltre 150 galee stracolme di pirati pose sotto durissimo assedio Nizza, all’epoca ambita, strategica città ed unico sbocco sul mare del ducato di Savoia).

Praticamente quasi tutte le cittadine liguri di ponente e di levante subirono attacchi e devastazioni da parte dei pirati saraceni.

Tuttavia, la presenza barbaresca in Provenza (che teneva in ovvia apprensione anche gli abitanti delle nostre, non molto distanti, contrade) divenne presto scomodissima anche al re di Francia che, per liberarsi del terribile alleato e rimandarlo a casa, il più rapidamente possibile, pagò una penale in monete ed oro incredibile per l’epoca (si dice che con la cifra raccolta e pagata si sarebbe potuta comperare l’intera città di Parigi).

Come ulteriore “buonuscita “i saraceni ritornarono ad Algeri con oltre 10.000 prigionieri (alcuni storici parlano addirittura di più di 20.000), perlopiù liguri (ma anche piemontesi e savoiardi) e di molte altre regioni costiere italiane razziate sulla strada del ritorno.

Prigionieri da incatenare come schiavi ai remi delle loro innumerevoli “galee” (come disgraziati motori umani) o, nel caso delle belle fanciulle, per alimentare gli “Harem” delle loro città nord africane con “nuova merce giovane e fresca”.

Tuttavia , occorre rilevare che tra il mondo cristiano e quello mussulmano vi era una sostanziale differenza : per i barbareschi il fine vero delle retate di  prigionieri/prigioniere  era l’ottenimento successivo ( anche se parecchio  “successivo” ossia  dopo averli spremuti / spremute a dovere sia ai remi sulle galee che negli harem) di un riscatto in denaro mentre per il mondo cristiano gli schiavi mussulmani erano utilizzati quasi esclusivamente come forza motrice umana delle galee o per scambiarli con prigionieri cristiani ignorando totalmente l’aspetto commerciale del guadagno!  

Dopo la caduta e il terribile massacro di Famagosta del 4 agosto del 1571 il mondo cristiano ebbe una scossa, un profondo brivido avvertendo quasi fisicamente la minaccia incombente dell’Islam.

Il Papa san Pio V (piemontese di Boscomarengo), conscio del terribile pericolo, lanciava quindi una nuova crociata a cui aderirono Venezia, Spagna, Cavalieri di Malta, Genova, Firenze, il gran ducato di Toscana, di Urbino, di Lucca, di Mantova, di Ferrara e il ducato di Savoia oltre al Vaticano.

Fu costituita una grande flotta il cui comando supremo fu affidato al ventitreenne don Giovanni

d' Austria.

 L'alleanza prevedeva rigide regole morali ed a tutti i membri degli equipaggi il Papa donò una corona del rosario.

All'alba della domenica del 7 ottobre 1571 la più grande flotta di galee che la cristianità riuscì mai a raccogliere si trovò di fronte nelle acque di Lepanto a quella mussulmana comandata a Alì Pascià. Duecentosette galee cristiane contro oltre trecento della mezzaluna.

Tre erano le galee piemontesi con equipaggio sabaudo (la capitana Savoia, la Piemontese e la Margarita) ed erano comandate da Andrea Provana di Leinì, grande amico del suo signore il duca Emanuele Filiberto di Savoia. Le tre galee piemontesi issavano la bandiera ducale " De gueules à la croix blanche " ...la croce bianca su sfondo rosso.

Come sappiamo lo scontro fu spaventoso, decine di migliaia i morti, il mare rosso di sangue era un cimitero galleggiante ma la vittoria fu schiacciante, la cristianità era salva!

Alì Pascià il comandante della flotta ottomana fu ucciso e decapitato, don Giovanni d'Austria ebbe una gamba squarciata.

Le navi del ducato di Savoia si batterono eroicamente, la " Piemontese” rimase isolata e fu accerchiata ed abbordata da tre galee nemiche, dei suoi 200 uomini 188 perirono in combattimento e solo 12, seppur feriti, si salvarono. Andrea Provana al comando della " Capitana Savoia" ebbe la testa ferita da una archibugiata e per oltre mezz'ora rimase svenuto mentre intorno a lui ferveva una spaventosa mischia corpo a corpo ma si riprese e tornò a guidare i piemontesi all'assalto fino alla vittoria finale.

Della flotta turca soltanto 40 galee riuscirono a fuggire guidate dall'ammiraglio rinnegato e bey di Algeri “Occhialì " (Giovanni Dionigi Galeni, calabrese catturato giovanissimo dal famoso pirata Barbarossa e protagonista poi di una straordinaria carriera tra le file mussulmane).

I turchi uccisi furono circa 30.000 e 10.000 caddero prigionieri. La Lega cristiana perse 14 galee tra cui una purtroppo piemontese. I caduti cristiani furono 7000 e 5000 i feriti.

Quattordicimila schiavi cristiani incatenati ai remi furono liberati.

Alla notizia della vittoria Papa Pio V intonò personalmente il Te Deum in San Pietro e grandi festeggiamenti furono fatti in tutta Europa.

Con la scomparsa (momentanea) dei saraceni e della grande paura ripresero le varie attività commerciali, il lavoro dei campi e, per le nostre martoriate regioni italiane, iniziò finalmente un periodo di risveglio, un rinascimento economico e sociale che, invece, altrove era già iniziato da molto tempo… 

La pace con l'Islam durò circa tre quarti di secolo ma le potenze cristiane ripresero presto a guerreggiare tra loro e le terre piemontesi e cavouresi furono nuovamente teatro di scontri e distruzioni.                                                                                                

                                                                                                          Dario Poggio

 

      

 

 

 

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