Facebook Twitter Youtube Feed RSS

“Mamma li Turchi”. Pirati saraceni a Cavour ed i piemontesi a Lepanto.

30/04/2022 19:39

“Mamma li Turchi”. Pirati saraceni a Cavour ed i piemontesi a Lepanto.

Parte prima: I saraceni a Cavour

di Dario Poggio

 

Erano i primi giorni d’autunno dell’anno del Signore 945, dalle montagne spirava un vento freddo da far alzare il cappuccio del saio ai pochi monaci e novizi dell’Abazia di Santa Maria di Cavour; il maestoso Monviso e tutte le cime più alte all’intorno, si erano improvvisamente imbiancate per la prima neve.

Da un po’ di tempo nelle campagne del pinerolese e del saluzzese si respirava un’aria greve, strana come quella che preannuncia una bufera, una tempesta.

Ma non era il brutto tempo e neppure i primi freddi a preoccupare i monaci, ma piuttosto alcune allarmanti voci, alcune segnalazioni portate dai pellegrini e dai viandanti che, scendendo dai valichi alpini, trovavano momentaneo riparo e ristoro nelle foresterie delle Abbazie del Piemonte per poi proseguire il loro lungo viaggio verso Roma.

Infatti, sia nell’Abbazia di Santa Maria di Cavour, che in quella della Novalesa e di San Michele della Chiusa si erano recentemente fermati dei pellegrini francesi e tedeschi i quali raccontavano di incursioni, saccheggi e massacri fatti dai pirati saraceni; pirati che avevano base nell’Oppido di Fraxinet (oggi La Garde Freinet) nel non lontanissimo golfo di Saint – Tropez.

La base saracena non soltanto rappresentava una gravissima minaccia per tutte le zone limitrofe ma rappresentava un rifugio per feudatari e loro armigeri caduti in disgrazia o vessati dai potentati o dallo stesso re Ugo di Arles.

Le incursioni, raccontavano i pellegrini, non si limitavano più ai soli paesi costieri ma si spingevano ormai fin nelle vallate piemontesi e savoiarde …e tutto ciò dopo che il re Italico, Ugo di Arles, con i suoi armati e la flotta bizantina avevano dovuto rinunciare all’impresa di scacciare i pirati e i loro accoliti dalla base in terra di Provenza. Anche il castellano di Cavour aveva raccolto tali voci ed aveva immediatamente avvisato l’Abate di Santa Maria di stare accorto, di vigilare attentamente che il pericolo era incombente…

 

 “Ho fatto anticipare di un ora la chiusura delle porte di Saluzzo, Pinerolo e Barge …ho messo a guardia di ciascuna di esse sei armati e fatto caricare di pesanti pietre le catapulte del castello…di notte ho raddoppiato le scolte…ho avvisato i castelli vicini e le torri di vedetta; mi raccomando Abate al primo suono di corno sbarrate le porte dell’Abbazia, barricatevi o… fuggite”.

L’Abate radunò i propri monaci per prendere una rapida decisione: la fuga, l’abbandono dell’Abbazia alla sua sorte… o rimanere rischiando il martirio. All’unisono Abate e monaci decisero di rimanere…ed anzi di dare eventuale rifugio ai contadini della zona.

Trascorsi dieci giorni senza che nulla accadesse la paura cominciava ad affievolirsi lasciando nuovamente spazio alle normali attività di preghiera ed ai lavori nei campi e nell’interno dell’Abbazia “Ora et labora”.

Ma, una sera, poco dopo compieta, nelle prime ore della notte le foglie dei più lontani cespugli ancora visibili si erano messe a tremare, nonostante che il vento fosse quieto. Nell’oscurità si intravedeva qualche strano luccichio…qualche sinistro bagliore sotto i riflessi della luna come di lame d’acciaio…qualcuno e qualcosa si muoveva furtivo.    

D’ improvviso si scatenò il finimondo…urla disumane nella notte, il picchiare selvaggio di un grande tronco portato da cento mani e spinto a forza contro il vecchio portone dell’Abbazia…fino a che questo non cedette di schianto…e decine di saraceni armati di scimitarre, pugnali, lance ed archi si avventarono all’interno del monastero tutto travolgendo, uccidendo, devastando, bruciando…anche l'altare della chiesa fu profanato.

 Alle prime luci dell’alba un fumo acre si alzava verso il cielo dalle mura e dagli edifici di quel che rimaneva dell’Abbazia di Cavour…ovunque aleggiava un acre odore di bruciato, di morte, ovunque un’immagine di desolazione e di abbandono e… molti corpi abbandonati ed arrossati di sangue giacevano all’interno del recinto, nella chiesa, nel refettorio…

Tutto era finito…” Erano passati i pirati saraceni!”.

Questo è quello che, press’a poco, dovrebbe essere accaduto in quel remoto autunno del 954 nelle campagne cavouresi, avvenimenti che lasciarono, purtroppo, un ben triste ricordo per molte successive generazioni.

 

Tuttavia, l’Abbazia di Cavour, come sappiamo, risorse dalle distruzioni saracene già nel 1037 grazie al vescovo Landolfo, della Diocesi di Torino, che fondò una nuova confraternita di monaci “Benedettini Neri” dedicata a Santa Maria dotandola di numerosi possedimenti, beni e prestigio.

Sul  racconto sopra esposto, occorre precisare che, non esistono documenti cavouresi  comprovanti tali avvenimenti i quali si basano invece essenzialmente su di un resoconto scritto ( Chronicon Novaliciense  ) da un monaco della Abbazia della Novalesa nel quale si precisa : “ Nel 945 i saraceni penetrano in Piemonte e si spingono fina ad assaltare Cavour , l’Abbazia di San Mauro ed i castelli di Pulcherada, Macingo e Albareto; nel saluzzese distruggono il castello di Auriate ( attuale Caraglio ) “ Inoltre, sempre secondo il cronista della Novalesa,  il vercellese è ancora vittima di saccheggi e aggressioni  saracene tra il 960 e il 970 , anche se questa  notizia è controversa in quanto, secondo alcuni storici,  potrebbe essersi trattato di bande di comuni briganti e avventurieri locali scambiati per pirati saraceni.

Per semplicità, nel nostro racconto, abbiamo chiamato l’Abbazia di Cavour sempre con il nome di “Santa Maria” poiché riteniamo credibile che il vescovo Landolfo, nel 1037, abbia voluto rifondare l’Abbazia mantenendone il nome originale, ma questa è una mia supposizione. Per quanto concerne invece il castello di Cavour non si hanno notizie certe fino al secolo XI quando ebbe come primi signori i Piossasco.

Tuttavia per la posizione strategica della Rocca, anche in questo caso è verosimile che esistesse, anche prima dell’anno 1000 un “Castrum” o “Castello” di significativa importanza.             

Come invece ci testimonia la storia, le incursioni saracene in Piemonte iniziarono ancora prima delle distruzioni avvenute nelle zone cavouresi ossia fin dai primissimi anni del 900.

I primi borghi a subire seri attacchi furono Ormea e Garessio che ancora conservano luoghi denominati “La caverna dei Saraceni “presso Ormea e la “Torre dei Saraceni “nei dintorni di Garessio. Molti giovani e donne del luogo furono fatti prigionieri e deportati nei mercati arabi per essere venduti come schiavi. Infatti, ancora oggi, presso Garessio, il passo che conduce in Liguria è chiamato “Bricco o passaggio degli Schiavi”. 

Il vescovo di Cremona, Liutprando, registra inoltre attacchi saraceni nel 905/6 nella zona del cuneese provenienti dal colle di Tenda: “Molti fuggono e nessuno osa opporsi alla loro furia se non chiudendosi in - Tutissimis loci – cadono i borghi aperti, i villaggi, i monasteri. Subiscono gravi danni le abbazie di San Dalmazzo, Villar Costanzo, Limone, Bene Vagienna, Morozzo e Pagno”

 

E così, mentre i signorotti piemontesi sono divisi e impegnati nelle loro guerre locali o troppo deboli per contrastare con la forza le improvvise scorrerie, i saraceni attaccano e raggiungono le valli di Susa, Chisone e Pellice devastando ogni sito abitativo e tra questi l’Abbazia della Novalesa dove erano rimasti, ad attendere il martirio, solamente due eroici monaci che non vollero abbandonare l’Abbazia.

Invece, l’Abate Donniverto e gli altri monaci, avvertiti dell’arrivo dei saraceni, raccolti in fretta e furia su dei carri gli oggetti di culto, i manoscritti, le pergamene, i codici miniati fuggirono precipitosamente a Torino. 

Dal 920 al 940 sono gli anni dove le incursioni raggiunsero l’apice; il Monferrato, l’Albese, le Langhe e la città di Alba vengono sistematicamente saccheggiate da orde di predoni e colonne di centinaia di prigionieri vengono trascinate al di là dei monti verso le loro basi.  

In seguito, i Saraceni tentarono di applicare alle loro incursioni un minimo di disegno strategico, un principio di organizzazione destinato a stabilizzare la loro presenza sul territorio delle vallate piemontesi, dando luogo alla fondazione di alcuni insediamenti (Torri saracene) e imponendo con le armi contribuzioni alle popolazioni locali e vessandole con soprusi d’ogni sorta.

Tuttavia, come riporta Michele Ruggiero nel suo “Saraceni in Piemonte”, in alcuni casi limite, i saraceni furono appoggiati dalle popolazioni locali che, stanche delle angherie dei signorotti locali, preferivano “provare” il giogo di un nuovo padrone sperando in qualche…misero vantaggio.

Inoltre gruppi di avventurieri, banditi, sbandati locali fecero comunella con i saraceni aggregandosi alle loro bande o spacciandosi per loro.

Uno di questi casi di “cattivi cristiani “è riportato nel 1037 dal Vescovo Landolfo quando, descrivendo la fondazione della nostra Abbazia di Santa Maria di Cavour, cita il miserando stato della propria Diocesi dove vi erano ripetuti fenomeni di banditismo ribellione e disgregazione sociale e religiosa.

Ad onor del vero, se i saraceni si comportarono nelle nostre terre prevalentemente da feroci predoni, è altrettanto vero che i nostri “Crociati” in Terra Santa, "Templari”, “Cavalieri di Malta”, 

“Veneziani”, “Genovesi “ecc.…nelle ripetute guerre e battaglie contro l’Islam non brillarono certamente in affettuosità e tenerezze.

Insomma “La guerre est la guerre “e non si andava mai per il sottile… da nessuna parte!

 

                                                                                               Dario Poggio

Commenti