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Nuove evidenze scientifiche della vitamina D in rapporto al Covid 19.

14/12/2020 17:55

Nuove evidenze scientifiche della vitamina D in rapporto al Covid 19.

di Piergiacomo Oderda

 leggi anche qui: https://www.vocepinerolese.it/articoli/2020-12-14/utilita-somministrazione-vitamina-d-prevalenza-colecalciferolo-pazienti-covid-19-19315

Ancona, Agrigento, Pisa, Palermo, Milano, Perugia, Siena, Pavia, Padova, Roma, Alba (CN), Taverna di Montalto (CS) e, naturalmente, Torino. Sono queste le provenienze geografiche di 65 medici e professori universitari che hanno siglato un appello sulle nuove evidenze scientifiche della vitamina D in rapporto al Covid 19. Il gruppo di lavoro istituito dall’Accademia di Medicina di Torino è stato coordinato dal suo presidente, prof. Giancarlo Isaia, e da Antonio D’Avolio, professore di farmacologia dell’Università di Torino.

Sul ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del Covid-19 sono stati pubblicati su PubMed (database bibliografico edito dal National Center for Biotechnology Information, NCBI) oltre 300 studi.  Ne sono stati scelti sei, il primo è stato elaborato da un gruppo di autori di cui è capofila Anshur Jain (“Scientific reports”) ed ha sottolineato un’ipovitaminosi D (<20ng/Ml) nel 32% di pazienti asintomatici, contro un 97% di quanti sono stati ricoverati in terapia intensiva. Marta Entrenas Castillo è la prima firma del secondo studio (“The Journal of Steroid Biochemistry and Molecular Biology”) basato su 76 pazienti ospedalizzati in Spagna. Di 50 pazienti trattati con calcifediolo, solo per uno è stata necessaria la terapia intensiva, trattamento che viceversa è stato riservato al 50% dei pazienti non trattati con calcifediolo. Il terzo studio, in territorio americano, è stato elaborato da un gruppo guidato da Harwey W. Kaufman (“Plos One”). Su 190 mila pazienti, il 9% è risultato positivo al Covid 19. La positività è fortemente e inversamente correlata ai livelli di 25 (OH) D circolanti. Risulta elevata (12,5%) in 40 mila pazienti con livello inferiore ai 20 ng/Ml, decisamente più bassa (6%) in 12 mila pazienti con un livello di vitamina D pari o superiore a 55 ng/Ml. Il quarto studio (“MDPI Nutrients”), curato tra gli altri da Gaëlle Annweiler, ci porta in terra di Francia e precisamente all’Università di Angers. 77 pazienti ricoverati nell’unità di Geriatria sono stati suddivisi in tre gruppi, il primo ha ricevuto la somministrazione di vitamina D già nell’anno precedente, il secondo ha ricevuto la supplementazione dopo la diagnosi di Covid, un terzo gruppo non ha ricevuto supplementazione. Al quattordicesimo giorno, il primo gruppo ha raggiunto una sopravvivenza al 93%, il secondo gruppo all’81%, il terzo al 69% (percentuali calcolate in base allo stimatore di Kaplan-Meier). Il calcifediolo era stato somministrato nell’anno precedente con dosi di 50 mila UI o doppie se assunte solo per due o tre mesi.

Il quinto studio ha tra i collaboratori anche uno degli estensori dell’appello sulle nuove evidenze scientifiche della vitamina D in rapporto al Covid, il prof. Antonio D’Avolio. Nei pazienti PCR-positivi (test diagnostico basato sulla metodica molecolare di reazione a catena della polimerasi), i livelli di vitamina D sono risultati minori (11,1 ng/Ml) a quelli di pazienti PCR-negativi (24,6 ng/Ml). Infine, il “BM journal” ha pubblicato uno studio guidato da Ashu Rastogi, professore all’Institute of Medical Education and Research a Chandigarh, in India. I pazienti hanno ricevuto 60 mila UI di calcifediolo per 7 giorni per arrivare ai 50 ng/Ml. La negativizzazione della malattia è avvenuta nel 62,5% di questi pazienti contro il 21% del gruppo di controllo trattato con placebo.

Altri studi evidenziano come la vitamina D somministrata con obiettivi di prevenzione è più efficace contro il Covid 19 sia per velocità di negativizzazione che per l’evoluzione benigna della malattia in caso di infezione. L’obiettivo da raggiungere sarebbe il livello di 40 ng/Ml mediante una somministrazione di elevate dosi di colecalciferolo fino a 4 mila UI al giorno (“Frontiers in Immunology”, John Arboleda e Silvio Urcuqui-Inchima, Università di Medellin in Colombia). In ambito terapeutico è utile un’unica somministrazione di 80 mila UI di colecalciferolo come sperimentato dallo studio francese (Annweiler), oppure di calcifediolo (106 gocce il primo giorno, 53 il 3°, il 7° giorno e poi una volta la settimana), secondo lo schema spagnolo (Castillo), oppure secondo lo schema sperimentato in India (Rastogi).

In Gran Bretagna e in Scozia è stata decisa la supplementazione di vitamina D a quasi tre milioni di soggetti fragili (popolazione di colore, anziani, residenti in RSA). I professori Isaia e D’Avolio concludono sottolineando la necessità di uno studio clinico su pazienti sintomatici oppure oligosintomatici sull’efficacia terapeutica della vitamina D, somministrata secondo i tre schemi (francese, spagnolo, indiano). In secondo luogo propongono una somministrazione preventiva fino a 4000 UI in soggetti a rischio comprendendo oltre agli anziani, persone fragili, obese, operatori sanitari, congiunti di pazienti infetti, soggetti in comunità chiuse. E’ utile per correggere la situazione di carenza generale della popolazione italiana, specie nel periodo invernale, come già dimostrato dal prof. Isaia nel 2003 (“Prevalence of hypovitaminosis D in elderly women in Italy: clinical consequences and risk factors”, in “Osteoporosis International”).

Il documento è stato inviato alle autorità sanitarie nazionali e regionali e può essere condiviso inviando una mail all’Accademia di Medicina di Torino (accademia.medicina@unito.it).

Nella foto il prof. Giancarlo Isaia

Piergiacomo Oderda

 

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