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Conferenza. Carenza di Vitamina D e COVID-19

29/11/2020 19:57
Nel mese di marzo, quando si era «barricati in casa», il prof. Giancarlo Isaia si domandava: «Perché la pandemia non colpisce tutti allo stesso modo? Si accanisce su alcune categorie: suore, carcerati, anziani nelle RSA, residenti nelle regioni del Nord». Il Presidente dell’Accademia di Medicina interviene nel ciclo di conferenze “Longevità e senescenza: come invecchiare in salute”, nella Sala Mappamondi del Palazzo dell’Accademia delle Scienze a Torino, con il pubblico collegato sul canale YouTube dell’Accademia delle Scienze. Nelle “slides” si evidenzia come i morti da Covid ammontassero al 4.6% nella fascia d’età 0-60 anni, e al 95.4% dai sessanta ai novanta. Stupisce la distribuzione geografica, i decessi in Lombardia raggiungevano lo 0,16% a fronte dello 0,07% in Campania o lo 0,04 in Basilicata (0,88 per i contagi in Lombardia). Con Enzo Medico, professore di Istologia all’Università di Torino, hanno esaminato la letteratura internazionale. La carenza di vitamina D è molto frequente negli anziani, viene sintetizzata in minor misura nelle regioni del Nord Italia, data la minore quantità di radiazione solare. Hanno pubblicato una sorta di “Position paper” lo scorso 25 marzo sui siti dell’Accademia di Medicina e dell’Accademia delle Scienze, «mettendo in fila le evidenze scientifiche», al fine di richiamare l’attenzione delle autorità scientifiche, la carenza di vitamina D rappresenta un rischio in caso di infezione da Coronavirus. Ha suscitato un dibattito internazionale e ha stimolato i ricercatori ad approfondire il collegamento tra vitamina D e Covid 19. Sono state oltre settecento le citazioni su siti nazionali ed esteri, il prof. Isaia è stato intervistato da Cile, Messico, Bolivia, Svezia. La rivista internazionale “Aging Clinical and Experimental Research” ha richiesto un editoriale che è stato pubblicato nel numero di agosto, suscitando ulteriore dibattito.
L’Italia è un Paese con prevalenza di Ipovitaminosi D per il 75% degli anziani. La fonte è uno studio risalente al 2003, sempre condotto dal prof. Isaia sulla popolazione italiana al di sopra dei 65 anni (“Osteoporosis International”). Nei bambini non si manifesta, probabilmente in conseguenza delle campagne di prevenzione del rachitismo. Charles Dickens aveva descritto «con mirabile maestria» la condizione dei bimbi che lavoravano in miniera a fine Ottocento. Le donne muoiono di meno forse perché protette da alcuni geni presenti sul cromosoma X o a motivo dell’assunzione di vitamina D al fine di combattere l’Osteoporosi. Il prof. Isaia si è interrogato di fronte alle morti delle suore di clausura a Tortona, così come un dosaggio di vitamina D «straordinariamente basso» era stato riscontrato in un convento torinese dove molte suore erano incorse in una frattura del femore. Digitando “Vitamina D, Covid 19” si nota come in “PubMed” sono 249 gli studi pubblicati sul tema. Il prof. Isaia premette come la vitamina D sia un organismo simile all’ormone e spiega con la metafora della chiave e della serratura il rapporto tra l’ormone e il recettore, «se trova la serratura giusta, la chiave apre». A fine Ottocento, di fronte a casi di tubercolosi, il primo provvedimento era stato l’obbligo per ogni provincia di dotarsi di un sanatorio (Pracatinat, Robilante, Pietra Ligure, per esempio). Si era scoperto come il sole stimolasse l’immunità. Uno studio recentemente inserito su “PubMed” (“Scientific reports”, Jain) ha rilevato come la vitamina D fosse bassa nel 30% dei pazienti asintomatici, mentre tra i pazienti ricoverati in terapia intensiva, valori normali fossero attestati solo nel 3% dei casi. 
Uno studio americano (“Plos one”, Kaufman) condotto su 190 mila pazienti sottopostisi al dosaggio della vitamina D ha registrato per il 6% di quanti avevano contratto il Covid, una quantità pari a 60 ng (nanogrammi) mentre un quinto aveva un dosaggio intorno ai 20 ng. In collaborazione con colleghi del San Luigi e dell’Amedeo di Savoia, si sono esaminati 30 pazienti; tutti erano sotto i 30 ng salvo due persone, già arrivate con una terapia che prevedeva la supplementazione di vitamina D (presto entrambi dimessi). Secondo un contributo pubblicato su “Aging Clinical and Experimental Research”, a cura di Ilie, Stefanescu, Smith, si è dimostrato come in vari Paesi europei a livelli bassi di vitamina D corrispondesse un maggior numero di decessi.
In un altro studio (“Journal of Steroid Biochemistry and Molecular”, Entrana Castillo) è stato somministrato calcifediolo a 50 pazienti con lieve sintomatologia, solo per uno è stata necessaria la rianimazione. Nel gruppo a cui non era stato somministrato, il 50% è andato in rianimazione. La posologia era alta, cento gocce (0,532 mg) il primo giorno, 50 (0,266 mg) il terzo e il settimo, non si è registrato alcun effetto collaterale. Si consiglia una maggiore esposizione al sole e l’assunzione di vitamina D con gli alimenti (eventuale supplemento solo sotto controllo medico).
«La storia prosegue», incalza il prof. Isaia. La vitamina D è prodotta dalla pelle irraggiata dal sole (meno del 20% è ricavata dall’alimentazione). Un “pool” di esperti ha calcolato quanti raggi UV fossero “piovuti” in Italia nel semestre precedente e nei cinque mesi successivi. Il calcolo è stato realizzato grazie ad un’istituzione olandese, il Temis (Troposheric Emission Monitoring Internet Service). Nello studio, il prof. Isaia è stato supportato da Henri Diémoz dell’Arpa della Valle d’Aosta. Si sono localizzate le radiazioni per regioni, coinvolgendo anche l’Arpa del Veneto, della Puglia, del Piemonte e dell’Alto Adige. Si sono coinvolti esperti di statistica, di fisica, di geriatria, comprendendo anche l’Enea, l’Università di Bologna, di Torino, “Sapienza Università di Roma”, la Città della Salute di Torino. Si parte dalla Sicilia con un alto livello di radiazione, via via che si sale verso Nord, la situazione va peggiorando (registrazione tra il primo giugno e il 31 dicembre 2019). Lo studio è in corso di pubblicazione su “Science of Total Environment”, dopo una severa valutazione da parte di sette revisori. Il prof. Isaia mostra ancora una tabella che rivela come man mano che si passa da radiazioni UV elevate a più basse (da 1,15 a 0,8 MJ/m2), il numero di contagi e di decessi cresce. Si è valutato anche l’inquinamento atmosferico, la temperatura dell’aria, l’età media della popolazione, l’incidenza di malattie come il diabete o malattie cardiovascolari.
I raggi UV rappresentano la variabile più significativa. Si è pertanto verificata «una correlazione statisticamente significativa tra il numero di decessi e di pazienti in ogni regione e l’intensità delle radiazioni ultraviolette». Nei mesi di marzo e aprile si è arrivati ad un picco di mille decessi al giorno per poi calare a poche unità nei mesi di luglio e agosto, nonostante la frequenza di assembramenti. Compensare l’Ipovitaminosi D frequente nel nostro Paese potrebbe contribuire al contenimento specie nei soggetti anziani e più fragili. L’8 novembre nel Regno Unito si è iniziato a distribuire la vitamina D. In Scozia, si era diffusa la notizia a inizio aprile. Occorre convincere le autorità politiche a inserire la vitamina D nei protocolli terapeutici. La notizia trapelata (e mai smentita) da parte di un alto esponente del cosiddetto Comitato Tecnico Scientifico relativa ad un danno ai reni dovuto ad un eccesso di vitamina D è priva di fondamento; la vitamina D viene regolarmente somministrata anche ai pazienti in dialisi o che soffrono di insufficienza renale.
«Come finirà questa storia? Dall’Italia abbiamo dato una risposta importante».
Piergiacomo Oderda
 
 
 
 
 
 

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