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Dalla malattia COVID19 alle riflessioni nel libro "Non è una parentesi" curato da mons Olivero

22/06/2020 19:48

«La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende». Papa Francesco commenta il brano di Mc 4,35-41 (Gesù placa il mare in tempesta) nel “Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia”, lo scorso 27 marzo. È una delle metafore che cita Enzo Biemmi, docente alla Pontificia Università Lateranense, nella prefazione al libro “Non è una parentesi” (Effatà, 2020). A questo brano si riferisce il dipinto di Eugene Delacroix (1841, Kansas City) commentato da Ester Brunet, storica dell'arte e Antonio Scattolini, delegato vescovile per la Pastorale dell'Arte a Verona. La descrizione particolareggiata dei dieci personaggi a bordo della barca mi ha fatto pensare all'esortazione del vescovo a contemplare il quadro per uscirne con occhi diversi. Tra i discepoli, c'è chi alza le braccia, chi si sporge alla ricerca di un remo. Da un lato, “anche noi ci rispecchiamo in questi personaggi smarriti, agitati, confusi, abbandonati, paralizzati”, dall'altra, come pregava papa Francesco, siamo “tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”. Tanti sono i personaggi sulla barca quanti sono i contributi presenti nel libro dal sottotitolo evocativo “una rete di complici per assetati di novità”. Possiamo intendere il testo, curato dal nostro vescovo, come una sorta di aiuto a ripensare il nostro essere Chiesa (e società) a partire dall'assunto che “il nostro modo di stare a questo mondo non dovrà più essere quello sconsiderato di prima” (Biemmi), il tempo della pandemia è un “kairòs”, “un tempo che urla” (Olivero), che richiede una conversione, “una decisa variazione di rotta” (Duilio Albarello, professore di Teologia Fondamentale e direttore della facoltà  universitaria “Istituto Superiore Scienze Religiose” di Fossano). Le coordinate sono proposte dal vescovo sulla base della sua esperienza di sofferenza: la fiducia in Dio e la cura delle relazioni. La testimonianza diviene “trasparenza”, “lasciar trasparire il di più che non è merito nostro”. Richiama Sequeri per definire l'essenza dell'identità, “non chi sono ma per chi sono”. In questo periodo di pandemia, la Chiesa ha abitato spazi inediti come la famiglia, “guarda con simpatia e stima i non praticanti... gli appartenenti ad altre confessioni e ad altre religioni... gli agnostici e gli atei”. Un breve inciso riflette tutta la personalità di Derio, “uscire fuori ossigena anche l'interno”.

Sul tema dell'uscire, si articola il contributo di Duilio Albarello, “uscire dagli schemi abituali... nella realtà complessa di oggi... verso una maniera di realizzare la fede cristiana, intesa come l'esperienza e la testimonianza di una buona notizia per la vita”. Raccomanda l'attitudine degli “esploratori, che si espongono, si mettono in gioco in prima persona, correndo il rischio di sporcarsi le mani e di ferirsi”. Albarello cita un passaggio del discorso tenuto da papa Francesco a Firenze nel 2015, il modo migliore per dialogare è “fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”.

Il contributo di Ivo Seghedoni, formatore e presbitero della diocesi di Modena -  Nonantola approfondisce nuovi significati per riconfigurare il ruolo del sacerdote, “nuovi spazi e occasioni di missionarietà”, “sono necessarie oggi altre forme di invenzione, altre forme di preghiera, di catechesi, di accompagnamento delle fragilità delle persone”. Al sacerdote assegna il ruolo di “mistagogo, di uomo che aiuta le persone ad entrare in una vita spirituale... dove la fede cristiana si gioca in casa e non in chiesa, nelle attività profane e non nel tempio”. Spetta al sacerdote una missionarietà “fatta di ascolto e di incontro, di dialogo cordiale e di ricerca culturale senza pregiudizi, di ideazione sociale e di sostegno cordiale per le iniziative a favore delle persone”.

Il vescovo osserva come nelle messe in “streaming” manchino i corpi: “facciamo dei riti che hanno movimenti, canti, parole, silenzi, profumi, processioni. Addirittura mangiamo e beviamo”. Ne traggono spunto una serie di interventi sulla liturgia a cura di Andrea Grillo, professore di Teologia dei sacramenti all'ateneo S. Anselmo di Roma e di Marco Gallo, docente di teologia sacramentaria a Fossano (CN). “La messa è luogo di contatto, di riconoscimento, di prossimità: la mano inguantata, il volto coperto e la distanza di sicurezza sono forme corporee di controtestimonianza simbolica, poiché dicono diffidenza non confidenza (Grillo), “la liturgia della fase 2 non può che essere un monstrum” (Gallo).

Paolo Curtaz, teologo e scrittore, testimonia il suo impegno “on line” con la rubrica quotidiana, poi settimanale su Facebook e YouTube, FTC, “Fede al Tempo del Coronavirus”. Esprime con franchezza quanto ha imparato, “di solito marzo e aprile giravo come una trottola dalla Sicilia al Friuli. E così mi perdevo le tenere foglioline che spuntavano nel bosco, i fiori di campo, la luce del cielo che si intensifica, la temperatura che permette di togliersi il maglione”.

Le ultime battute del contributo del vescovo sono sul dono come motore del mondo, aggiungo ai testi che cita, lo studio di Roberto Repole, professore a Torino di Teologia sistematica, “La chiesa e il suo dono. La missione fra teo-logia ed ecclesiologia” (Queriniana, 2019): “dal dono di cui vive la Chiesa e che essa rende disponibile nella missione deriva una scelta preferenziale per gli ultimi e i più poveri”.

“Generativi di tutto il mondo, unitevi!”. Mons. Olivero mutua lo slogan da Magatti e Giaccardi e ci chiede: “Io, singolo, per chi sono? Noi, coppia, per chi siamo? Noi, comunità cristiana, per chi siamo?”.

 

Piergiacomo Oderda

Nella foto la copertina del libro “Non è una parentesi” (Effatà, 2020)

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