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Christopher Kloeble, autore del libro “Quasi tutto velocissimo”

02/03/2020 18:19

di Piergiacomo Oderda

Alla libreria Trebisonda di Torino, si presenta al pubblico Christopher Kloeble, autore del libro “Quasi tutto velocissimo”, edito da Keller (2019, ed. originale “Meistens alles sehr schnell”, 2012). Roberto Keller apre la sua agenda e lancia alcuni spunti per sentire dal giovane scrittore come si sia sviluppata la narrazione. Roberto è “estasiato” per riprendere un termine che ricorre sovente nel testo. Il libro ha «un numero di storie, di personaggi, di situazioni tale che, una volta finito, hai voglia di ripescarle per godertele una a una». E' costruito a capitoli alterni, evidenziati anche da un segno grafico floreale. Ad una storia ambientata nel presente, si affianca una storia che si dipana nel secolo precedente con altri personaggi. «Tutto inizia con un padre e un figlio di fronte al destino tragico e imminente» di pochi mesi di vita che rimangono al padre, Fred.

«Quanto ci ha messo a scrivere un romanzo così stratificato?», chiede l'editore. Kloeble ringrazia e tesse le lodi alla libreria, le copertine dai colori invitanti l'avrebbero indotto a comprare quattro o cinque libri, se non si fosse ricordato che erano scritti in italiano e non avrebbe potuto leggerli. Tuttavia, «l'italiano è una lingua così bella che tutti i libri tedeschi andrebbero tradotti in italiano!». Cristopher è cresciuto in un paesino dell'alta Baviera. L'immaginario di persone che vanno in giro con calzoni di cuoio, la domenica si recano a Messa, tifano per il Bayern e prediligono enormi boccali di birra, trova riscontro nella vita reale. La storia è un “mix” di varie suggestioni, per un terzo registrate in presa diretta, per un terzo lo scrittore ne ha sentito parlare, per un altro terzo fanno parte della vita di questo mondo. Keller mostra la copertina del libro, Fred conta le macchine verdi che passano di fronte all'unica fermata di autobus del paese. Albert ha diciannove anni, vuole scoprire la propria strada nella vita, vuole trovare la madre che non ha mai conosciuto. Il secondo capitolo è ambientato in un'epoca «quasi senza tempo, con un'atmosfera fiabesca» che richiama le opere dei fratelli Grimm. Si parla di una ritualità nata da un monaco poi divenuto vescovo che sente la voce di Dio invitarlo a «gettare la cosa più preziosa che ha con sé». Il monaco getta un calice e nasce la tradizione per cui gli abitanti «ogni anno bruciano la cosa più preziosa che hanno». «Come nasce questa tradizione?», incalza Roberto Keller. Per Kloeble, l'idea di fondo alla base di questa creazione letteraria è che «paghiamo un prezzo per ciò che desideriamo». Va inteso in senso figurato ciò che è prezioso, non si tratta solo di beni materiali bensì di orgoglio, amore, «rinunciare ad un amore per un amore più grande». L'editore sottolinea che un tema così importante come la felicità convive con una scrittura «lieve, ironica». I personaggi che portano i segni di un destino drammatico come il padre in condizione di disabilità cognitiva vengono trattati con amore e normalità, pur essendo personaggi che affrontano destini che normali non sono. Cristopher parla di patto sociale su cui concordiamo implicitamente, «ci sono situazioni di personaggi che ci suscitano l'idea di normalità; vedendo qualcosa che esula dalla normalità la additiamo come insolita». Nel momento in cui «ci confrontiamo con singole persone che non corrispondono a questo canone che ci siamo dati, scopriamo di avere un altro sguardo». Per Keller, nella parte storica, il libro vive di partenze e di ritorni, resta sullo sfondo la storia del Novecento tedesco. Kloeble è cresciuto in un paesino affine a quello descritto nel romanzo, «piccole realtà lasciate ai margini dei grandi processi storici». La notizia della Grande guerra arriva a guerra finita, il Terzo Reich arriva a causa di un particolare aspetto di vita sociale. Di fronte a grandi tragedie, si pone il quesito se sia meglio parlarne, fare i conti con quanto di drammatico è successo o dimenticare, una domanda che riguarda non solo il paesino ma la società, l'umanità. Roberto Keller chiede ancora perché i personaggi “sfigati”, le persone tenute ai margini vengano definite “kloeble”. Christopher ha ricevuto una lettera mentre scriveva il libro da un tale, di cognome Kloeble, che sosteneva come in tutta la Germania ci fossero venticinque persone chiamate così. L'origine del termine è l'idea di “rozzo”. Nel romanzo si parla di persone emarginate, lo scrittore ha ritenuto che si trattasse di un nomignolo appropriato, anche per l'accezione di “lento di mente”. Keller punta l'attenzione sull'edizione americana. Kloeble ha visto il libro pubblicato anche in Israele e in lingua hindi, «paesi non legati ad un filo comune». «La leggerezza è fondamentale ai fini di un accesso più piacevole alla lettura». E' più facile raccontare storie drammatiche in modo drammatico che raccontarle in modo più leggero. Ripensando all'area linguistica americana riflette sull'uso di “love” in qualsiasi contesto, dall'amore più passionale per una persona al prediligere, p. es., un frutto. La parola tedesca “liebe” è più impegnativa. Keller invita a considerare il carattere cinematografico del libro. Per Kloeble, «gli autori non possono non essere influenzati in qualche modo dal cinema, la scrittura cinematografica fa parte dello scrivere della nostra epoca». L'aspetto visivo è fondamentale, non ci si può più permettere una descrizione in cinquanta pagine dell'anatomia del corpo umano, come poteva fare Thomas Mann. Il padre di Cristopher ha fatto l'attore, era un produttore cinematografico, ricorda che sin da quando era in fasce girava una telecamera in casa. E' qui che ha ricevuto uno stimolo all'aspetto filmico e ha sviluppato un modo visivo di scrivere.

 

Piergiacomo Oderda

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