Facebook Twitter Youtube Feed RSS

Chiudere i campi di concentramento in Libia, rafforzare i corridoi umanitari.

09/11/2019 17:47

 

Da settimane, si discute del rinnovo dell’accordo stipulato nel 2017 per contenere l’arrivo dei migranti del Paese africano e che prevede azioni per il controllo dei confini terrestri a sud della Libia, il finanziamento dei centri di accoglienza libici con fondi UE, la formazione del personale libico e l’avvio di programmi di sviluppo.

In realtà, la verità documentata è che i migranti intercettati in mare vengono rinchiusi nei centri di detenzione, in condizioni disumane, denutriti, torturati, stuprati, senza cure mediche. In Libia c’è un’emergenza umanitaria e la più grande violazione dei diritti umani degli ultimi anni. Quelli sono veri e propri campi di concentramento, finanziati dall’Italia e dall’Unione europea. La rinegoziazione del memorandum con la Libia deve essere fatto rispettando almeno tre condizioni: la chiusura immediata dei centri per i migranti presenti in Libia con la fine della detenzione degli stessi migranti, un piano di evacuazione europeo di quei migranti ancora presenti in territorio libico e il ripristino nel Mar Mediterraneo di una missione di salvataggio europeo.

Stiamo assistendo al fallimento della comunità internazionale in generale e dell’Italia in particolare in quello che doveva essere il processo di transizione, pacificazione e ricostruzione della Libia.

E’ solo grazie all’azione delle organizzazioni non governative se, con il loro intervento nel Mediterraneo, si sono salvate vite umane e si è mantenuto quel briciolo di umanità, mentre gli Stati si giravano dall’altra parte di fronte al dramma della migrazione e dei morti in mare.

Per questo, l’azione avanzata dalla Federazione delle chiese Evangeliche e dalla Comunità di sant’Egidio ci dimostra che un altro modo di affrontare il nodo delle migrazioni è concretamente possibile: il corridoio umanitario europeo dalla Libia per 50.000 profughi in due anni, proposta concreta e già attuata dal Libano.

La politica dell’accoglienza e della difesa dei diritti umani devono andare di pari passo, perché anche oggi non possiamo permetterci, di fronte ai nuovi campi di concentramento, di girare la testa dall’altra parte.

Commenti