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“Senza sbarre": sostenere misure alternative al carcere con Scamarcio, Sinisi e don Agresti

21/08/2019 16:50

di Piergiacomo Oderda 

Don Riccardo Agresti e il magistrato Giannicola Sinisi dialogano con Riccardo Scamarcio, originario di Andria (BAT). L'incontro organizzato nella parrocchia di San Luigi nei pressi di Castel del monte ha la finalità di sostenere il progetto diocesano “Senza sbarre" volto ad attuare misure alternative al carcere.

Si parte dal termine greco “pistis”, il senso della fede, “fidarsi, fondare l’esistenza su qualcuno". Scamarcio intende la fede come qualcosa di privato, “facendo l'attore devo avere questo rapporto con l'energia, il mistico, il mistero; a teatro mi è capitato di avere un'esperienza mistica!”. “L'atto è qualcosa che facciamo al di là di noi stessi", come l'amore per cui “si è mossi da qualcosa di più forte della nostra volontà: la fede è questo!". Un atto inconsulto, “abbandonarsi verso qualcosa di irrefrenabile". Per lui è estremamente importante “mantenere viva la parte spirituale”, altrimenti non riuscirebbe ad interpretare i suoi personaggi. Don Riccardo chiede se andasse al catechismo. Scamarcio ricorda l'esperienza all'oratorio salesiano, alle 19 don Mario invitava tutti alla preghiera mentre lui scappava da una porticina. “Ho avuto un  rapporto difficile con il rigore, con l'ordine; ho recuperato quando mi sono messo a studiare per fare l'attore". Le domande di don Riccardo diventano più difficili: “come mai lo scoraggiamento, il male, la sofferenza?”. Scamarcio non si tira indietro: “Bisogna mantenere un rapporto vivo con la propria spiritualità. Non è semplice, tutti siamo portati a nascondere più che a manifestare noi stessi. Ci costringiamo a recitare una parte che non ci appartiene". La paura è un campanello d'allarme, “ci blocca, ci rende subalterni, è la porta del male".

“La sofferenza cambia le persone" riprende don Riccardo ricordando il padre dell'attore, Emilio, scomparso nel 2017. “Il rapporto con la perdita del padre è un avvenimento importante", riflette Scamarcio, “la presa di coscienza vera, empirica con la morte cambia la prospettiva dell'esistenza". “Come vivi il rapporto col divismo?” lo punzecchia don Riccardo. “Essere divi è una grande responsabilità. Ho scelto di fare l'attore, se questo ha generato attenzione alla mia persona è una conseguenza. In un'età molto giovane, ventidue, ventitré anni, può metterti in pericolo". “Senza l'ego non faremmo niente, saremmo come delle amebe”. L'ego è il motore, bisogna “lasciarlo andare ma non troppo altrimenti si spacca", si creano “strappi al tessuto armonico della realtà". È importante per un lavoro sempre in bilico tra reale e irreale, il rapporto con la natura, la terra, la campagna, il mare. Durante l'incontro riceve una telefonata da un valente bio agricoltore.

Scamarcio era presente a inizio maggio all'inaugurazione della masseria di San Vittore, dove s’incentra l'attività dell'associazione “Senza sbarre". L'attore pugliese individua un problema nella società contemporanea, “la mancanza di empatia, la cosa più importante da coltivare, da insegnare”. La società con l'intento di creare condizioni migliori per il vivere  comune si è data una Costituzione. Aldo Moro convinse Calamandrei sull'anteriorità del concetto di persona rispetto all'essere cittadini.

Tocca a Sinisi interrogare Scamarcio, “quanto ha contato Andria, la Murgia, l'educazione familiare?”. Pur avendo viaggiato tantissimo, Scamarcio ricorda tra i momenti più belli “fare i funghi con mio padre", in un silenzio rotto da impercettibili espressioni dialettali (“facciamoci un caffè", “andiamo di qua, di là"), sotto il cielo plumbeo della Murgia. Sinisi nota che Scamarcio non è sui “social". L'ha aiutato Pasolini a “inquadrare i valori dell'Italia rurale", la semplicità, l'onestà degli intenti, a scoprire “la sapienza empirica, le connessione con il tutto, con il cosmo da persone che non si sono mai spostate". Accanto a Pasolini, cita Godard, il regista Silvano Agosti, Lucio Dalla. Sinisi accenna all'esperienza poco entusiasmante dell’attore a scuola. “Ho recuperato dopo in modo empirico. Tutti mi spingevano a dire che al Sud si sta male". Notava una “discrasia" tra il legame con la sua terra e il pensiero comune sul Mezzogiorno da recuperare. “Non mi tornavano i conti, allora ho imparato ad approfondire”.

“In tanti film hai scelto o ti vengono assegnati ruoli criminali", osserva Sinisi. “Il cinema è a caccia di figure che vivono una vita estrema" replica Scamarcio. “Guardo dal punto di vista umano, anche di fronte a persone che commettono crimini efferati". Cerca di capire come hanno fatto ad arrivare a fare certe cose, si mette nei loro panni.

Sinisi chiede un'opinione sul progetto “Senza sbarre", “ambizioso, difficile, mi sono coinvolto da subito. Riuscire a riaprire un dialogo, la vera reintroduzione di chi ha sbagliato, passare attraverso un processo di riconciliazione, questa è la rivoluzione!”.

Piergiacomo Oderda 

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