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“Le metropoli nella competizione globale” organizzato dalla Rete dei Comunisti.

06/07/2019 15:26

di Piergiacomo Oderda

Interrogarsi sul tema “Le metropoli nella competizione globale” è l’obiettivo di un incontro organizzato a Torino dalla Rete dei Comunisti. Michelangelo Caponetto introduce l’intervento del sociologo Giovanni Semi (autore nel 2015 del testo “Gentrification. Tutte le città come Disneyland?”, Il Mulino, 2015) a cui segue una riflessione sul ruolo dei poli universitari torinesi, a cura di Luca Bardino dell’associazione “Noi restiamo”.

«Il ruolo della metropoli si è accentuato col passaggio dal fordismo al modello di accumulazione flessibile, con la deindustrializzazione, la speculazione edilizia immobiliare», la “gentrification” (“insieme di trasformazioni della città tali per cui l’area in cui essa avviene diviene più costosa e anche più esclusiva”, dal testo di Semi), la messa a valore della cultura e della conoscenza.

Con il disimpegno dello Stato dal finanziamento pubblico, «le aree metropolitane entrano in competizione tra loro per attrarre capitali e investimenti privati». Più che la mano invisibile del mercato, risulta centrale il ruolo del decisore politico. «Il “magnete franco tedesco” integra determinate aree del nostro Paese e ne marginalizza delle altre, il ruolo dell’Unione Europea  incide nella vita dei cittadini. I famigerati patti di stabilità dettano vincoli di bilancio che impediscono le politiche redistributive». Torino rappresenta un paradigma, la “città fabbrica” ha visto modificarsi la sua conformazione a partire dagli anni Ottanta con il disimpegno progressivo della Fiat, il tentativo di riconversione verso un altro modello ha impattato sulla carne viva. «Si sono modificati gli spazi e la configurazione sociale, i luoghi e i tempi di vita delle persone». Le giunte di centro sinistra hanno avuto un ruolo da protagonista nella riconversione della città, costituendo il cosiddetto “Sistema Torino”. Castellani, eletto dopo la riforma sull’elezione diretta del Sindaco, approva il nuovo piano regolatore nel ’95, a trentasei anni dal precedente. Chiamparino e Fassino approntano tre piani strategici che ridisegnano il modello urbano. Il Piano regolatore del ’95 dà il via ad una stagione di lavori pubblici epocale, tale da lasciar sbigottiti per i metri cubi costruiti. Secondo lo studio Belligni Ravazzi (“La politica e la città. Regime urbano e classe dirigente a Torino”, 2012), «i piani strategici hanno dettato l’agenda urbana per la trasformazione della città». Vi si parla di Torino “policentrica” (riorganizzazione degli usi del suolo), “politecnica” (eccellenza dei centri per la ricerca) e “pirotecnica” (a partire dalla vetrina delle Olimpiadi 2006, i grandi eventi culturali e sportivi). Il secondo piano strategico è incentrato sull’ipotesi che il bilancio di Torino passi attraverso l’economia della conoscenza; il ruolo dell’università deve mutare, la si trasforma in università imprenditoriale. Il terzo piano strategico parla di “città di opportunità, efficiente per le imprese, attraente per le persone”. Le contraddizioni non riguardano solamente la retorica ostentata della Torino “Smart city”. Gli studi più avvertiti parlano di rischio di declino, «il valore aggiunto pro capite in provincia di Torino è il più basso di tutto il centro Nord con esclusione di Venezia». La disoccupazione giovanile e il numero di Neet (giovani che non lavorano né studiano) sono doppi rispetto a Milano. Secondo il rapporto Giorgio Rota, Torino ha una posizione mediana tra le aree meglio integrate con il centro dell’Unione europea e le città del Meridione. Si stenta a restare agganciati con il “7 dello sviluppo” (province disposte geograficamente secondo una forma che ricorda il numero sette, innervata sull’asse Milano, Bologna, Firenze). Si parla di città in contrazione (“shrinking cities”), che cerca di agganciarsi alla locomotiva Milano in condizione di subalternità. «Il movimento Sì tav è una spia del declino. E’ il tentativo di non essere tagliati fuori da un’opera inutile, per agganciarsi al flusso continentale di capitale».

Il sociologo Giovanni Semi parte da un assunto: «siamo un’epoca urbana. E’ urbano il cuore cioè la città, è urbana la campagna, il rifugio alpino, la stazione spaziale orbitante. E’ tutto urbano nella misura in cui infrastrutture e comunicazioni sono pervasive. Buona parte delle dinamiche le osserviamo in tutte le parti del pianeta». Un riferimento di pensiero è il testo “Espulsioni” di Saksia Sassen, «il capitalismo procede per espulsione, è una macchina che macina biografie, territori, estrae i succhi, fa “fracking” quando può, costruisce ponti, vie ferrate, razzi che vanno su Marte; quando ha terminato di estrarre un succo abbandona la zona che ha depauperato, lascia una scia di espulsioni di territori, distrutti dal punto di vista ambientale».  Questo meccanismo che genera espulsioni procede per “formazioni predatorie” che sono degli «accrocchi istituzionali in cui ci sono gli Stati, pezzi di mercato, gli attori che si coalizzano per spogliare il territorio». Giovanni Semi nota il fenomeno del «ritorno della rendita», sulla base della domanda «come faccio a ingabbiare la rendita fondiaria che viene generata nel momento in cui trasformo lo spazio, come faccio a recuperare tassazione, a far sì che il valore generato dal cambiamento di destinazione, di uso di un territorio me lo tenga io». Attenzione al fatto che «ci è molto semplice pensare ai grandi “rentiers”, la famiglia industriale che man mano negli ultimi trent’anni ha sostituito i suoi “asset” principali, il suo portafogli, ha venduto le quote industriali, si è buttata sul finanziario, sull’immobiliare soprattutto e adesso gestisce patrimoni». Il fenomeno va individuato anche «nella storia del possesso di case degli italiani, della proprietà immobiliari, noi veniamo da tre generazioni, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi di italiani hanno accumulato proprietà immobiliari». «Ci hanno messo come italiani in una condizione strana di essere neoliberisti prima ancora del neoliberismo!». «Questa grande disponibilità di patrimonio immobiliare è in questo momento uno dei patti impliciti della politica italiana contemporanea. Provate voi ad alzare la mano, e dire la parola tassa di successione, patrimoniale su beni immobiliari, rimettere Imu sulla prima casa o alzare le aliquote. E’ come fare esplodere una bomba all’interno di una polveriera». Il sociologo osserva come, quanto a presenza di mercato, nel caso torinese si tratti di «processi di piccolissimo cabotaggio». Un esempio eclatante è la Cavallerizza. «Se fosse in centro a Milano, anche col sigillo Unesco che in qualche maniera ha alzato il prezzo e l’ha ingessata, verrebbe valorizzata nel giro di tre, quattro mesi. I capitali internazionali arriverebbero immediatamente, farebbero quello che la giunta torinese faticosamente sta cercando di fare ma non riesce a fare perché la verità è che non c’è nessun mercato per comprarsi la Cavallerizza. Torino è talmente in decrescita  che l’attore internazionale non se la sente minimamente». Giovanni Semi si è occupato a lungo di «quel residuo di centro storico popolare che è Porta Palazzo. Tutte le cose che stanno succedendo, collassando in quell’area di Torino negli ultimi sei mesi sono molto significative», minimo l’influsso del mercato a giudicare il finanziamento di sei milioni di euro di Umberto Montano per il “Mercato Centrale”. A Milano, nell’area similare di Porta Nuova, «sono arrivati i soldi del Qatar che ha investito centinaia di milioni di euro, da un giorno all’altro, senza battere ciglio». Porta Palazzo è un progetto interessante perché «è un progetto in cui l’attore pubblico sta spingendo in tutte le maniere, in maniera dissennata, forsennata per trasformare quell’area in vista di qualche sviluppo turistico. Il “Balon” è il tentativo di controllo politico e di pulizia etnica, il Mercato Centrale, l’Ostello, il Mercato del pesce, lo sgombero dell’asilo, l’opera di militarizzazione della zona è tutta un’operazione interamente pubblica».

Luca Bardino nota come il taglio del Fondo di finanziamento ordinario costringa «l’Università a trovare nuove forme di finanziamento». Si scelgono obiettivi strategici in ordine ai “stakeholders” o portatori di interessi. «I finanziamenti su bandi incrementano la differenza tra atenei». Aumentano le iscrizioni nei poli universitari torinesi del venti per cento, per il 40% provenienti dal Sud. Data l’offerta troppo alta di giovani qualificati, non assorbiti dal tessuto produttivo, molti emigrano o fanno lavori un tempo appannaggio di chi aveva titoli di studi più bassi. Il Politecnico di Torino ha un ruolo importante nello sviluppo cittadino. Imprese private finanziano la ricerca scientifica, si vorrebbe incrementare l’integrazione con le piccole e medie imprese. La mobilitazione avvenuta in occasione dell’apertura del Burger King nella Palazzina Moro ha reso evidente la problematica dell’Università che per costruire nuove aule è costretta a chiedere finanziamenti ai privati concedendo la gestione della struttura per trent’anni e la possibilità di affittare il 40% degli spazi ad altre aziende private a proprio piacimento per aprirci dei negozi”.

 

 

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