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Sasha Marianna Salzmann (“Fuori di sé”, Marsilio),

14/06/2019 20:39

di Piergiacomo Oderda 

Stefano Petrocchi introduce nella sala internazionale del Salone del Libro, il testo di Sasha Marianna Salzmann (“Fuori di sé”, Marsilio), tra i finalisti per il premio Strega Europa vinto da Diop (“Fratelli d'anima”, Neri Pozza). «Perché l'abbiamo selezionato?» Accenna alla biografia della scrittrice, nata nel 1985 a Volgograd «fuori dall'Europa dal punto di vista strettamente biografico. Si è spostata a dieci anni con la famiglia in Germania. Vive tra Berlino e Istanbul». Si tratta del primo romanzo, Sasha Salzmann è autrice teatrale nota in tutto il mondo.
Il dialogo è condotto da Francesco Pacifico che parte da una provocazione. «Non sappiamo presentare i libri delle donne. Non sappiamo da dove cominciare. A maggior ragione per un romanzo che ha al centro una persona la cui formazione, educazione sentimentale è qualcosa di cui non ho mai sentito parlare». Sasha interagisce così: «è noioso quando gli autori spiegano i loro libri da soli; è un regalo per noi sentire quello che gli altri hanno trovato nel libro. Ogni giornalista mi ha detto qualcosa di diverso: un libro sulla transizione, sulla gioventù, sull'Europa. E' un libro sulla memoria che cambia continuamente, in modo fluido». Pacifico le chiede come sia avvenuto il passaggio «dal teatro dove puoi usare il corpo alla narrativa». Salzmann parla del concetto di casa «come condizione, non come luogo. La sensazione di essere a teatro era quella di essere a casa mia. Le mie esperienze principali, il primo appuntamento amoroso sono avvenute a teatro. Qualcosa si è trasmesso nel romanzo, io sono un corpo teatrale». Si dice che un romanzo si scriva da seduti, un pezzo di teatro mentre si cammina, «mi muovo volentieri quando scrivo». Per il teatro non descrivi un volto, «nel romanzo descrivi il corpo, l'odore, c'è una grande libertà». Pacifico riprende un'intervista alla scrittrice per “Il Manifesto”. «La famiglia della protagonista ha visto la Russia comunista, l'antisemitismo, la storia della Germania, della Turchia. Tutte le persone che stanno in questa famiglia hanno vissuto traumi storici, se li portano dietro. E' una lotta tra il corpo oscuro, rimosso per il dolore della storia, il corpo che si ammala; dall'altra c'è il corpo di vitalità che è il corpo anarchico, la fuga in avanti dei personaggi».
«La famiglia biologica è la prima cosa che definisce, da dove arrivi, che nome hai», riprende Sasha. «Ogni identità è mobile, il corpo non rimane uguale da quando sei nato». La protagonista «porta traumi di cui non conosce le origini», è prodotto di una realtà comunista, il regime di Stalin è parte della famiglia sino alla sua generazione. «Cerco di dire con questo libro che dobbiamo elaborare il passato per essere pronti ad affrontare il futuro».
Pacifico racconta l'evento che ha turbato l'inizio del Salone del libro, «le decisioni prese di corsa, torturati dal tempo» in relazione alla presenza dello stand della casa editrice Altaforte, vicina a Casa Pound. Per Sasha Salzmann. «senza ricordi non succede nulla, dobbiamo parlare di ricordi come qualcosa che non si può certificare. La Germania dimostra che non basta ricordare la Shoah, abbiamo un'ondata di fascismo xenofobo. Sta succedendo in Italia, Francia, Russia. Non è una buona testimonianza per la nostra epoca se questo succede». Un problema è rappresentato dalle periferie, dalla marginalizzazione della nostra società. Lo sosteneva già la Arendt, «si misura una società in base a come gestisci le persone che stanno ai margini».
 
Piergiacomo Oderda
 

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