Facebook Twitter Youtube Feed RSS

Dialogo islamo cristiano. Patriarca Sako: il dialogo come discorso di vicinato

15/11/2018 16:09

di Piergiacomo Oderda

Il Centro Peirone cura a Torino studi sull’Islam e promuove il dialogo islamo cristiano. Ha organizzato un convegno dal titolo “La fine del Medio Oriente e il destino delle minoranze”. Ospite d’eccezione, Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei – Baghdad, autore del testo intervista “Più forti del terrore. I cristiani del Medio Oriente e la violenza dell’Isis” (Emi, 2015), con un intero capitolo dedicato al dialogo con l’Islam.

Il direttore del Centro Peirone, don Tino Negri, ha affrontato con la consueta meticolosità gli accordi franco inglesi del 16 maggio 1916 (“Sikes-Pikot”), «accordo segreto tra i due ambasciatori che non fu mai approvato da nessun parlamento né discusso da alcuna assemblea internazionale. Molti lo considerano una delle principali cause dei problemi del Medio Oriente, la creazione di Stati disomogenei, instabili, ingovernabili». L’accordo non fu altro che «una generica dichiarazione di intenti tra Francia e Regno Unito e una altrettanto generica promessa di indipendenza di alcuni leader in cambio di una ribellione armata contro  l’impero ottomano, il nemico da sconfiggere». «Per molti storici accreditati, il Medio Oriente è il frutto di negoziati tra interessi politici contrapposti insieme a compromessi che raramente hanno portato a soluzioni geograficamente e etnicamente omogenee». Riprende alcune affermazioni del sinodo chiamato successivamente da Benedetto XVI, “Ecclesia in Medio Oriente”. La Chiesa in Medio Oriente continua ancora oggi la sua testimonianza, traccia un elenco veloce delle componenti che la rendono una «Chiesa variopinta, la Chiesa patriarcale di Alessandria dei copti, le tre Chiese patriarcali di Antiochia, dei greco melkiti, dei siriaci e dei maroniti, la Chiesa patriarcale di Babilonia dei caldei e quella degli armeni». Si tratta di «una Chiesa che, pur cosciente della sua identità, si apre ai fratelli giudei e musulmani con cui coabita e desidera coabitare secoli di storia». La Chiesa incoraggia ogni sforzo in vista della pace in Medio Oriente in particolare. E’ la natura della Chiesa che esige di vivere in dialogo con i membri delle altre religioni, «il dialogo poggia su basi teologiche che interpellano la fede». Nella costituzione “Lumen Gentium” e nella dichiarazione “Nostra Aetate” è un dato «assolutamente imprescindibile e necessario». Uno dei grandi desideri divini è «l’unità e l’armonia della famiglia umana, scorgere nell’altro credente un fratello da amare, non un nemico da sconfiggere». I cattolici in Medio Oriente «hanno il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, di godere di piena cittadinanza e non di essere trattati come cittadini di serie B». I cristiani hanno costruito «scuole, ospedali, istituzioni di ogni tipo dove tutti sono accolti senza discriminazioni». «La cittadinanza comprende il diritto alla libertà religiosa, culmine di tutte le libertà, sacra e inalienabile».

Il patriarca Louis Raphael Sako ricorda come «in una sola notte nel 2014 centoventimila cristiani hanno dovuto lasciare tutto, l’Isis ha sequestrato tutti i loro beni immobiliari, il loro denaro e persino i loro documenti personali». «Stati Uniti e l’Occidente cercano i loro interessi, se ne fregano dei diritti dell’uomo e della vita della gente». Coltiva speranze sul nuovo governo che è stato formato, sul nuovo presidente, primo ministro, presidente del Parlamento, fra 329 deputati ci sono 290 volti nuovi. «La maggioranza dell’Islam cerca la pace, di vivere insieme con gli altri». Il dialogo, scrive nel libro, è “un discorso di vicinato. Noi viviamo insieme, ci incontriamo nei nostri quartieri o sui nostri luoghi di lavoro”. «Abbiamo una missione per i nostri fratelli musulmani per aiutare a vedere le cose in un’altra maniera. La nostra morale aiuta molto. Tutte le liturgie erano in caldeo, in aramaico, le abbiamo tradotte tutte in arabo». Alle preghiere ecumeniche «la gente ammira e non vuole più uscire».

Due importanti contributi vengono da Samir Barhoum, direttore del giornale “Jordan Times - Amman” in Giordania e da Michel Touma, direttore della testata “L’Orient le jour” di Beirut, in Libano. Per Barhoum «possiamo vedere la regione come un mosaico di minoranze. Forse, l’intenzione dell’accordo Sikes-Picot era quella di creare una situazione di caos, di minoranze e piccole nazioni in modo da mantenere la regione debole e facile da manipolare». La Giordania «ha un ruolo chiave nel rappresentare una forma moderata di Islam. Nel mondo circa due miliardi di musulmani vivono vite pacifiche e costruttive». Quanti hanno cercato di diffondere «odio, distruzione, terrore e guerre hanno fatto più danni ai musulmani e all’Islam di chiunque altro». Ricorda l’iniziativa “Una parola comune tra noi e voi”, «lettera aperta dei leader della religione islamica ai leader della religione cristiana in cui si invoca la pace tra i seguaci delle due fedi». Le Nazioni Unite hanno adottato una risoluzione che dichiara «la prima settimana di febbraio di ogni anno come la Settimana mondiale dell’armonia tra le fedi». In Giordania, «abbiamo vissuto questa esperienza attraverso la nostra storia, siamo fratelli, lavoriamo insieme. Abbiamo il sito del battesimo di Gesù. Abbiamo il fiume Giordano che ha dato al nostro paese il suo bel nome».

«Il Libano non è un semplice paese, è un messaggio» dice Michel Touma, «vivere insieme tra musulmani e cristiani, questo pluralismo comunitario è il messaggio». Il direttore del giornale di Beirut parla di «salsa di tre religioni». Il sociologo e storico di origine tunisina Ibn Khaldan analizza la “’asabiyya”, «lo spirito di corpo di un determinato gruppo sociale». «Il Libano è l’unico paese della regione in cui il presidente è maronita e cattolico. L’unico in cui il potere è condiviso tra le diciotto comunità religiose». «Le montagne del Libano formano una specie di resistenza», i maroniti vi si insediarono al tempo delle persecuzioni esercitate dagli Abbasidi in Siria. «E’ l’espressione di un forte attaccamento alla libertà, precisamente la libertà di culto e il rifiuto di sottomettersi all’oppressore». Si è creato in Libano un tessuto sociale a carattere “comunitarista”. Il fondatore del quotidiano, Michael China, l’ha definito «paese delle minoranze confessionali associate». Permette ai cristiani di «giocare pienamente un ruolo dinamico e preponderante in tutti i domini della vita pubblica». «Il Libano è sempre stato il rifugio della libertà di coscienza».

Traggo uno spunto di ricerca ancora dal testo del patriarca Sako. “I nostri Padri della Chiesa, soprattutto i siriaci, hanno scritto molti trattati riguardanti cristiani e musulmani, durante i califfati omayyadi e abbasidi. Si trattava di discussioni sui punti dottrinali, sui costumi ecc. Quei Padri hanno inventato tutti un linguaggio comprensibile in arabo per spiegare la loro fede ai musulmani che li interrogano. Sta a noi oggi riappropriarci di questi testi che i Padri della Chiesa ci hanno lasciato”.

Piergiacomo Oderda

Commenti