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Il libro: “Il viaggio di Cunégonde”, Enzo Barnabà e l’immigrazione

01/08/2018 15:33

di Piergiacomo Oderda

 

 

Le formiche e altri “animaletti dispettosi” di Viviana Trentin (illustratrice di un libro di Tabarini edito da Alzani) fungono da contorno alla conferenza di Enzo Barnabà di presentazione del libro “Il viaggio di Cunégonde”. La location prestigiosa è la sala conferenze del castello Doria di Dolceacqua (IM). Il testo, già stampato in Francia nel 2007 e in Italia nel 2010, era titolato “Il ventre del pitone”, metafora della nave con cui la protagonista parte per l’Europa, immaginata come un pitone che conserva all’interno quei geni o spiriti che tanta rilevanza assumono nel mondo animista africano. La nuova casa editrice, Sikè, è della provincia di Enna e all’insegna della Sicilia è l’incontro da cui scaturisce l’idea del libro. Il prof. Barnabà si trovava a lavorare in Costa d’Avorio all’università. Curioso di vedere elefanti in libertà, raggiunse il parco, chiese informazioni per entrare ad un gruppo costituito da una ventina di persone di colore e da un unico bianco. Il gruppo bisbigliava: “Rispondi tu al tuo fratello di colore!”, le piste erano impraticabili ma dietro l’impeccabile francese del bianco si celava un accento da palermitano borghese. Vicino, una ragazza di colore sbottava con espressioni tipiche del dialetto di Ballarò. Insomma i due diventarono amici del professore. Lei, clandestina a Palermo, era tornata in Africa per via di documenti che non riusciva ad ottenere, accompagnata dal fidanzato Ugo, laureato in ingegneria nucleare. Confessò a Barnabà, “vorrei scrivere la mia storia, vent’anni fa quelli che venivano in Europa venivano in aereo, io sono venuta a piedi!”. È partita ragazzina, diciottenne dalla Costa d’Avorio, è arrivata donna a 21 anni con un bambino in braccio.

Barnabà, sbobinando il racconto mentre si trovava in Albania, decise di passare dalla biografia al romanzo, dalla persona (Lazarine N’Guessan) al personaggio (Cunégonde). In tal modo poteva raccontare esperienze che altri africani avevano vissuto “per far capire meglio il mio punto di vista sull’Africa”. Intanto la protagonista è divenuta nonna, ďopo vent’anni di matrimonio vive a Palermo. Ha avuto altri due figli da Ugo oltre al figlio del viaggio che lavora a Bergamo come operaio qualificato “perfettamente integrato”. Per aggiungere un’attualizzazione sulle migrazioni oggi, Barnabà ha anteposto alla storia un capitoletto dove Cunégonde e i suoi due figli vedono ciondolare i migranti davanti alla chiesa o al supermercato. Lei ha uno spirito materno forte, “ce sont mes enfants” e li invita alla spiaggia di Mondello dove offre un picnic. “Se posso, li interrogo per conoscere le loro storie”. Comincia Ayad della Guinea, buttato giù da un’impalcatura dal padrone in un momento d’ira e via via gli altri, permettendo di raccogliere dei flash sulle migrazioni di oggi. L’autore stesso vivendo a Grimaldi, vicino al confine francese, si confronta tutti i giorni con queste realtà. Su internet legge il giornale di Abidjan, entra nei blog per continuare l’operazione del romanzo, dare voce agli africani, “non si tratta tanto di pontificare sulle migrazioni quanto di conoscere il loro punto di vista”.

La prima parte ha carattere antropologico, “come l’Africa legge il mondo”. Il prof. Barnabà a questo punto s’immerge nella storia di due sorelle, una bella e una brutta, intente alla ricerca di lumache africane (non meno di due etti). Lo spirito del fiume concede il passaggio ma vuole una parte del raccolto. La sorella bella riempie in fretta il paniere e finge di non vedere lo spirito del fiume. La sorella brutta ma generosa ne raccoglie due e dice allo spirito, “sono tue se vuoi”. Lo spirito si tiene la verde e lascia alla ragazza la nera, intanto un enorme masso seppellisce la ragazza avara. Il racconto spiega la nascita del totem o prescrizione alimentare che vieta di nutrirsi di lumache verdi. Anche in Africa, tuttavia si crede sempre di meno. Lo testimonia il racconto di un amico toscano che aveva impiantato un centro turistico ambientale. Le scimmie sparivano a vista d’occhio per colpa dei bracconieri. Il capovillaggio ebbe l’idea di inscenare un rito con tanto di tam tam, abiti da cerimonia, danze, ricorso agli antenati per sacralizzare la fauna ma a nulla valsero gli sforzi.

Barnabà aggiunge una riflessione sulla natalità. La capitale della Nigeria ha 35 milioni di abitanti che saliranno probabilmente a 100 nel 2050. La popolazione giovanile è incredibilmente vasta, il 95 per cento ha meno di trent’anni. Riporta l’adagio africano, “quando muore un vecchio è come se bruciasse una biblioteca”. Oggi, tuttavia, il potere culturale degli anziani che spiegano come funziona il mondo è stato messo in crisi dalla scuola per non parlare della Tv. La cultura tradizionale era fondata sulla lingua dell’etnia ora precocemente soppiantata dall’inglese e dal francese della Tv.

Enzo Barnabà era a Pinerolo l’anno scorso in occasione del primo maggio per la lapide apposta vicino al Teatro Sociale che ricorda il ventinovenne Vittorio Caffaro. Con altri nove morì a Aigues-Mortes nel 1893, dove gli stagionali italiani lavoravano nelle saline agli ordini di caporali senza scrupoli. Vennero massacrati in quanto rei di aver rubato ai francesi il lavoro nelle saline.

Nella foto Enzo Barnabà 

 

Piergiacomo Oderda

 

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