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Media education. Conferenza tenuta da Pier Cesare Rivoltella all'Istituto Agnelli

15/04/2018 19:37

di Piergiacomo Oderda

Pier Cesare Rivoltella, “guru” di “media education”, direttore del Cremit di Milano (Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media all'Informazione e alla Tecnologia) commenta di fronte ai genitori degli allievi dell’Istituto Agnelli di Torino l’impatto delle nuove tecnologie nella società. Parte dal “cyber punk”, dall’opera di W. Gibson, “Neuromancer”, apparsa nell’era aurorale di Internet per giungere a declinare le attenzioni da avere nelle diverse fasce d’età, seguendo il pensiero di S. Tisseron, psicologo francese, di cui egli stesso ha curato la pubblicazione in italiano presso l’editore “La scuola”, “Diventare grandi all’epoca degli schermi digitali”. A fine anni Ottanta sembrava che non sarebbe diventata di largo dominio la realtà digitale, dato che servivano tecnologie costose. Ora, a poche centinaia di euro, è disponibile un visore oppure orologi o braccialetti che processano dati con applicazioni persino per la telemedicina. Anche l’Agnelli con cinque visori potrebbe allestire un laboratorio di realtà virtuale dove «apprendere attraverso simulazioni senza bisogno di trasferirsi in un ambiente reale». Un termine tecnico è la “realtà aumentata”. Quando «inquadriamo la realtà, visualizziamo nel nostro campo percettivo insieme alla realtà fisica dell’oggetto altri livelli di realtà informativa». E’ quanto è capitato ad Osaka quando venticinque mila persone hanno bloccato il traffico cercando di catturare i Pokemon fissati nello spazio urbano ma visualizzabili solo con gli smartphone.

Il Ministero della Sanità francese aveva commissionato un rapporto per studiare «la relazione tra schermi digitali e soggetti in età evolutiva». Secondo Tisseron, da zero a tre anni, «i bambini hanno bisogno di mettere a fuoco il rapporto col tempo e lo spazio. Le porzioni di corteccia cerebrale attivate quando si tocca un oggetto o lo si manipola su uno schermo sono diverse». Da tre a sei anni occorre trasmettere emozioni positive. L’eccessiva esposizione ai cartoni può generare rischi. «Nello studio di alcuni psicologi sociali» emerge che in questi soggetti «non viene colpevolizzata la violenza contro i cattivi. Si sviluppano tendenze illibertarie, intolleranze, parere favorevole alla pena di morte, all’indiscriminata violenza contro la criminalità». Tra i sei e i nove anni «è utile per il genitore spiegare cosa siano il diritto di immagine e il diritto alla pubblicazione». Occorre abituare il bambino a «chiedere a chi vuole fotografare se lo può fotografare e, dopo averlo fotografato, se lo possono far vedere ad altri. Per il diritto di immagine è lui che decide cosa vuol fare dell’immagine; il diritto di pubblicazione è il diritto di accedere ai suoi dati».

Rivoltella nota come la tendenza a non spegnere lo smartphone faccia sì che «quando siamo a casa, arriva la telefonata di lavoro; sposta il mio spazio pubblico dentro il mio spazio privato». Tra i nove e i dodici anni i ragazzi sono attratti nella sfera dei videogiochi mentre le ragazze hanno un accesso anticipato ai “social”. I videogiochi non sono «in sé cattivi, sviluppano competenze, si devono prendere decisioni, il “problem solving”». Occorre fare attenzione a quale età sono destinati (codice PEGI, Pan European Game Information)  ma conviene sempre «farsi un giro sul videogioco». Cita il fenomeno dell’isolamento sociale o “hikikomori”, di pari impatto sui ragazzi rispetto ai disturbi alimentari nelle ragazze. I “media” non sono i veri colpevoli del ritiro sociale, talvolta restano l’unico cordone ombelicale che tiene legato il ragazzo a qualche suo amico. Si consigliano tre strategie, tre “A”: alternanza, autoregolazione ma soprattutto accompagnamento, «sapere che consumi fa il proprio figlio, provocarlo a raccontarsi» (piercesare.blogspot.com).

 

Piergiacomo Oderda

 

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