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“Pensare il cibo. Il cibo visto dalla filosofia”

02/11/2016 12:06

Il Cuarteto Arturo Marquez (oboe, clarinetto, violino, violoncello) esegue un tango di Piazzolla, “La morte dell’angelo”). Massimiliano Borgia introduce l’ultima serata dell’iniziativa “Pensare il cibo. Il cibo visto dalla filosofia” con ospiti d’eccezione, Licia Granello, giornalista di Repubblica con il compito di moderatrice, Gianluca Garelli, torinese, professore di estetica all’Università di Firenze, autore di “La questione della bellezza” per i tipi di Einaudi, e Marc Augé, antropologo di fama mondiale.

Licia Granello introduce il concetto di “quotidianità”, il cibo ci appartiene fino in fondo. Quali connotati di bellezza si possono riscontrare nel cibo? Augé ricorda di aver vissuto per tanti anni in paesi in cui il cibo era un problema, dominava  l’immagine dei corpi magri per insufficienza di cibo. In Occidente, invece, talvolta non si mangia per essere più magri. Garelli ritiene che il cibo sia «quasi escluso dalla storia filosofica della bellezza. Quando viene tematizzata,  la bellezza è piacere disinteressato». Negli ultimi anni si assiste all’estetizzazione del piacere del gusto. Nasce come uno dei cinque sensi, di grande importanza in quanto implicato nella consumazione dell’oggetto, nell’assimilazione.

La giornalista accenna ad una supposta pornografia del cibo, laddove l’immagine si stacca dal valore del cibo, quando conta solo la foto. La complessità, secondo Augé, è data dal rapporto interiorità/esteriorità che è in gioco nel rapporto tra il cibo e il nostro corpo. «In Africa, quando uno dimagrisce è per colpa di qualcun altro». Suggerisce un rapporto con la bulimia e l’anoressia, «malattie del nostro tempo». In certe culture le patologie individuali sono dissimulate dalla rappresentazione collettiva. In Occidente, sono le particolarità individuali a diventare collettive. Per Garelli, godere della forma o della figura di un cibo è un’esperienza di gusto metaforica anziché un’esperienza  “sinestesica” dove tutti i sensi collaborano al nostro piacere, si assiste ad una sostituzione.

Marc Augé è noto per la teoria dei non luoghi, come l’aeroporto, il supermercato dove la gente si incontra ma non si relaziona. Eppure tende a non limitarsi ad un giudizio “tranchant”, nei fast food, pur essendo uno spazio di passaggio, «si creano sempre legami sociali». Sono espressioni della globalizzazione, Parigi è la seconda città per la presenza di Mac Donald, dopo le città statunitensi. Licia Granello insiste, dato che Augé ha lavorato a lungo in Africa come antropologo, «in quelle parti del mondo ritroviamo le stesse catene di fast food, il cibo povero perché standardizzato». Augè replica con pacatezza, «non va solo la gente povera dai Mac Donald, è certamente un cibo ricco di grassi ma sviluppa un certo gusto». I giovani cercano questo tipo di gusto perché piace a loro e ora anche la ristorazione di lusso si occupa di hamburger, «Clinton si esprime sinceramente quando si dice contento di mangiare hamburger».

Garelli racconta il finimondo successo a Firenze quando una grande catena di fast food ha acquisito il diritto di utilizzare i locali sotto il Duomo. Sembrava che la “location” diventasse un elemento per sponsorizzare il marchio e non viceversa. Altro spunto sulle patate al selenio, il cibo medicalizzato. Fa sorridere Augé quando svela di avere vicino a casa un negozietto bio che sembra una farmacia tante sono le scritte su cosa non c’è in questi prodotti. «Tutto ciò che è bio sembra contrassegnato dal negativo».

La giornalista pone a Garelli una domanda sul rapporto obbligatorio tra bello e buono, “se si diventa quello che si mangia…”. Entrambi i concetti erano contenuti nel “kalòn” greco da cui l’augurio di buon giorno rimasto anche in greco moderno (“kalimèra”). Si concepisce l’autonomia del bello a fine Settecento in relazione al divenire dell’arte. Il pensatore che ha fondato l’estetica moderna, l’idea moderna del gusto è Kant con la sua “Critica del giudizio” (1790) suddivisa  tra una parte sul bello e una sezione sugli organismi viventi. Anche i concetti di bellezza e desiderio potevano stare insieme nell’antica Grecia mentre con Kant il bello viene definito come ciò che piace in maniera disinteressata, oggetto di contemplazione.

Ancora un suggerimento sul “cake design”, la Granello nota che «si confezionano torte bellissime, incredibili per colore, forme, geometrie». Negozi e artisti lavorano solo sulla forma del cibo. Ribatte Augé sulle torte matrimoniali, «sono un simbolo, fanno parte dello scenario più che seguire una logica gastronomica». Rappresentano la vittoria del criterio estetico.

Piergiacomo Oderda

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