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Film “Io, Daniel Blake” di Ken Loach

02/11/2016 12:17

Scorrono i titoli iniziali del film “Io, Daniel Blake” di Ken Loach su fondo nero, già segno di mancata speranza riposta nel dialogo fra Daniel (Dove Johns, comico d’Oltremanica) e una misteriosa “Professionista della salute” (Sharon Percy). Vanamente Daniel cerca di sincerarsi se l’interlocutore sia un medico o un’infermiera, dato che proprio a causa di un attacco cardiaco ha dovuto lasciare il cantiere dove stava lavorando. Ormai, il suo nuovo lavoro è cercare di compilare un modulo di cinquantadue pagine per chiedere un sussidio per indennità di malattia, imparare a scaricare moduli “on line”, un ritornello che nel film prende beffardamente in giro quella “dematerializzazione” dei documenti amministrativi a cui assistiamo impotenti in questi anni, anche in Italia. Il film del regista inglese, originario del Warwickshire, conquista la Palma d’oro a Cannes per la miglior regia come già avvenne nel 2006 per “Il vento che accarezza l’erba”, e il premio del pubblico al festival di Locarno. Stupisce la frammentarietà del discorso narrativo, le frequenti dissolvenze in nero fanno pensare ad appunti, note filmiche, ad ogni modo di grande spessore umano.

Daniel incontra Katie (Hayley Squires), mamma con due figli, anch’essa provata dalla mancanza di un lavoro e dal trasferimento obbligato da Londra a Newcastle. La scena della Banca del cibo è toccante, forse più che per la sceneggiatura di Paul Laverty, per lo sguardo dell’attrice che segue come un automa la volontaria che le riempie le borse della spesa. Ad un certo punto abbraccia uno scaffale per non svenire dalla fame e, non vista, si apre immediatamente una lattina di fagioli per poi scoppiare in lacrime. Daniel l’aiuta a risolvere da bravo carpentiere alcune riparazioni in casa e c’è spazio anche per un’amicizia che nasce col piccolo Dylan (Dylan McKierman), il figlio minore di Katie. Ribelle, continua a battere per terra con una pallina, Daniel gli chiede se uccidono di più le noci di cocco o gli squali; il piccolo memorizza la domanda e risponderà durante una cena, trascorso un lungo periodo di tempo. L’altra figlia di Katie, Daisy (Briana Shann), ci regala il più bel sorriso del film, quando Daniel le regala un gioco composto di pesciolini in legno che volteggiano davanti alla finestra.

Lo scontro di Daniel Blake con la burocrazia del “Job center” è terribile. L’indennità di malattia gli viene negata, chiarimenti li raggiunge dopo un’ora e quarantotto minuti di attesa alla segreteria telefonica e sono tanti i secondi in cui il motivo delle Quattro stagioni di Vivaldi risuona in sala. Deve attendere la riconsiderazione del caso, pertanto chiede un’indennità di disoccupazione ma per farlo deve dimostrare di ricercare lavoro per trentacinque ore (anche “on line”!). La defatigante peregrinazione tra i capannoni industriali lo porta addirittura a trovare un datore di lavoro interessato (ma non potrà accettare per ragioni di salute).

Una vera gag è il workshop sul “curriculum vitae”, un uomo in giacca e cravatta (John Samner)  invita l’uditorio ad avere entusiasmo, a cercare di emergere dalla massa, come se quei volti di persone sempre più emarginate dalla società che ha di fronte non lo toccassero nemmeno. Il suo “CV”, Daniel lo scrive con quella matita che porta continuamente attaccata alle orecchie. Più che sorrisi, una vera tristezza suscita la scena in cui che fa scorrere letteralmente il mouse sullo schermo nel tentativo di reperire “on line” la modulistica.

Condividiamo l’osservazione di Marco Pierrard (Citazine.fr) che coglie un lato significativo del film nell’ «oscenità di vedere esseri umani che dormono ogni notte nelle strade dei nostri paesi ricchi». Via via, Daniel perde dignità, vende i suoi mobili, si riduce a coprirsi in casa di una coperta non potendo più pagare le bollette e sarà Daisy, la figlia di Katie, a farlo uscire di casa per presentarsi al ricorso sull’indennità di malattia. Prepara un discorso sulla lotta tra il cittadino e lo Stato ma sarà Katie a leggerlo come orazione funebre, Daniel non potrà che morire d’infarto proprio nel bagno del “Job center”, sicuro di vincere il ricorso per i furiosi commenti dei suoi medici curanti.

La foto ritrae il protagonista (attore dove johns) e il regista 

Piergiacomo Oderda

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