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«Per continuare ad approfondire e testimoniare» l’impegno di Enzo Tortora. Torino

25/09/2015 15:57

di Piergiacomo Oderda

 

Nei miei ricordi di ragazzo, si fermava il mondo quando in tv c’era “Portobello”. Mi appassionavano la presentazione delle invenzioni, i box dove si ricevevano le telefonate, la rubrica “Fiori d’arancio”. Sono arrivato fino al punto di registrare l’audio della trasmissione, allora non si aveva ancora in casa il videoregistratore. Presi anche un brutto voto di storia per non aver perso l’ultima puntata. In un paesetto del cuneese, riproponemmo il “format” per rallegrare gli ospiti della locale casa di riposo. E’ il paesetto d’origine (Trinità), di Bruno Mellano, attuale Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, promotore dell’intitolazione a Torino della galleria che unisce Via Pietro Micca a Piazza Solferino a Enzo Tortora, popolare presentatore della trasmissione citata. Il titolo era ispirato al nome di un pappagallo che non parlava mai nonostante le sollecitazioni dei concorrenti. Parlarono invece fin troppo i pentiti le cui accuse portarono il 17 settembre del 1985 ad una clamorosa sentenza di condanna, decisione completamente ribaltata il 15 settembre del 1986 e dalla definitiva sentenza di Cassazione nel giugno 1987. Il Comune di Torino ha inteso ricordare a 27 anni dalla morte che lo colse non ancora sessantenne un uomo che tramutò la necessaria battaglia per il riconoscimento della propria innocenza in una battaglia civile e politica per la “Giustizia giusta”. Fra gli intervenuti alla cerimonia, Piero Angela ha rievocato «il pittore in cerca di pubblicità» che l’avrebbe visto coinvolto in uno scambio di droga e la frase con cui Tortora riprese la trasmissione di “Portobello”: «Dove eravamo rimasti?». Valter Vecellio, direttore del TG2 e direttore di “Notizie radicali” sente il proprio intervento come «un onore e un impegno», al contempo. Si tratta di non dimenticare l’affermazione di Enzo Tortora, «non di “Caso Tortora” ma di “Caso Italia” si deve parlare», un caso «di giustizia negata, di diritti calpestati. La realtà che Tortora ha conosciuto ci umilia in Europa» e ci condanna per la sofferenza inflitta a tutte le persone della comunità penitenziaria, dai detenuti al personale di vigilanza. «Dal 2000 si sono uccisi in 875», dal 1992 ad oggi si calcola un danno per l’erario di 600 milioni di euro per gli indennizzi dovuti. Ricorda il caso di Mirko Turco, accusato da sette pentiti, condannato all’ergastolo e, scontati undici anni di carcere, riconosciuto innocente. Anna Chiusano, avvocato, membro dell’Ufficio di presidenza dell’Unione delle camere penali italiane, riparte ancora da «Dove eravamo rimasti?». La giustizia è rimasta ferma a 32 anni fa quando Enzo Tortora pagò il prezzo della sua popolarità nell’immagine che lo ritrae portato via in manette (17 giugno 1983), quando «è proibito riprendere le persone in manette». Dalle sue battaglie all’interno del carcere e al di fuori per la giustizia giusta si arrivò al referendum voluto dai cittadini sulla responsabilità dei magistrati. La reazione al piccolo passo promosso dal governo Renzi sulla responsabilità civile dei magistrati è stata una levata di scudi da parte di qualche esponente politico secondo cui «si inibisce l’attività dei magistrati, non si sentono più tranquilli, si sentono col fiato sul collo. Nell’immaginario pubblico se l’accusa va a pranzo con chi poi deve giudicare, un sospetto ti viene».

Pierfranco Quaglieni, direttore del Centro Pannunzio porta i saluti di Francesca Scopelliti, senatrice, la compagna di Tortora e invita a non dimenticare «i magistrati assassinati dalla criminalità organizzata, dal terrorismo». Sottolinea l’onestà di Tortora nelle dimissioni quando venne condannato in prima istanza, «un insegnamento che andrebbe seguito per ragioni di stile e lealtà verso le istituzioni repubblicane. Enzo ha saputo affrontare il processo a testa alta, non ha cercato di sgaiattolare via». Bruno Mellano, felice per questa intitolazione che arriva dopo 27 anni di solleciti al Comune di Torino e alla Regione Piemonte, puntualizza: «L’esempio di Tortora è emblematico di un cittadino che si difende nel processo e non dal processo. Sia Asti che Torino non hanno ritenuto opportuno intitolare a Tortora il tratto di strada che va al carcere, intendendolo come una provocazione. Su 70 mila detenuti, un terzo è in attesa di giudizio e almeno la metà risulteranno innocenti o non condannati». Disse Tortora, dichiarandosi estraneo ai fatti, «Io sono innocente e spero che lo siate anche voi». La targa di intitolazione della galleria, o meglio, «la pietra» come la chiama Mellano, serve «per continuare ad approfondire e testimoniare» l’impegno di Enzo Tortora.

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