Facebook Twitter Youtube Feed RSS

I ragazzi “tristi” sono aumentati. “Non dare psicofarmaci ai bambini”

26/03/2015 9:34

“Guadagni altissimi non per chi sta male ma per chi vende psicofarmaci. »

Il pensiero di Giovanni Rissone, medico psichiatra basagliano.

Troppo spesso vengono prescritti psicofarmaci per i bambini e per gli adolescenti. Tempo fa, una ricerca, voluta dal Dipartimento di Igiene dell’Università di Torino, aveva dato dei risultati preoccupanti: “su oltre 600 tredicenni si scoprì che il 25%, ha usato, almeno una volta, psicofarmaci”. E sull’uso dei psicofarmaci,  si “scontrano”, da tempo, varie scuole di pensiero. Abbiamo voluto sentire l’opinione del dottor Giovanni Rissone, medico psichiatra basagliano, da sempre sostenitore che: «una persona che ha una sofferenza mentale non si cura, si aiuta. Si aiuta a recuperare le proprie risorse, si incrementano le risorse con l’esperienza, con il rapporto umano, si va a casa delle persone”.

Ecco cosa afferma il dottor Rissone a proposito dell’uso dei psicofarmaci dati ai bambini, agli adolescenti, e alle persone in generale.

«I ragazzi depressi io li chiamo tristi perché non uso il linguaggio meteorologico; impariamo ad usare un linguaggio esistenziale: uno può essere un po’ triste, molto triste, infelice, molto infelice». Giovanni Rissone, medico psichiatra basagliano, svela un’amara ironia parlando del «paziente in tutti i sensi». Ripercorre la storia della psichiatria a partire dall’atto del 1794 di Pinel di liberare i matti reclusi al Bicêtre da “ceppi e catene”, evento che segnò l’inizio dell’era manicomiale. «In Italia non ci sono più ma in tutti gli altri paesi è allucinante, ho visto delle foto, in carcere hanno più dignità le persone, perché sanno anche difendersi». Emergono due nomi, EmilKraepelin e EugenBleuler; Kraepelin «Si è studiato centinaia di cartelle cliniche nei manicomi mettendo insieme i vari sintomi, ha usato il latino per parlare di “dementiapraecox”; Bleuler invece usò il greco per definire la “schizofrenia”, dissociazione del pensiero. Poi si è parlato di maniaco depressivi e di nevrotici; vanno molto di moda i bipolari.» Pare impossibile arrivare ad una definizione univoca di questi disturbi. «Nei primi anni Cinquanta è nato questo DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), siamo arrivati adesso alla V edizione (2014) e si sono più che triplicate il numero delle diagnosi, sono centinaia. Tra queste c’è la depressione suddivisa in decine di tipi. Questo manuale è scritto dall’American PsychiatricAssociation (APA), molto gradita alle holding farmaceutiche che producono psicofarmaci. Se uno aumenta le diagnosi, in modo direttamente proporzionale aumentano i guadagni; visto che oggi si parla tanto di tristezza o meglio di depressione, il fatturato annuale è di circa venti miliardi di dollari. I dati sono approssimativi e sono rilevabili solo negli Stati Uniti e in Europa. Immaginiamo un guadagno dieci volte più alto. Con gli informatori farmaceutici c’è un controllo territoriale, farmacia per farmacia. I principali distributori degli antidepressivi non sono gli psichiatri ma i medici di base, ottanta mila in Italia rispetto agli psichiatri, qualche centinaio. Il problema è che la cura è falsa, dannosa mentre i guadagni sono altissimi non per chi sta male ma per chi vende psicofarmaci. »

Quando uno sta male è disponibile a tutto ma «una persona che ha una sofferenza mentale non si cura, si aiuta. Si aiuta a recuperare le proprie risorse, si incrementano le risorse con l’esperienza, con il rapporto umano, si va a casa delle persone, di quelli che io chiamo i professionisti. Tutti gli esseri umani sono matti, la follia nasce da un certo tipo di gestione delle emozioni. Le emozioni sono il punto di partenza che tutti abbiamo. Distinguo fra i dilettanti che prima o poi si rialzano e i professionisti che creano un proprio mondo interno, non coincidente con quello esterno; ciò porta a far sì che siano emarginati, incompresi, non accettati

I ragazzi “tristi” sono aumentati del 10%. «Dato che non esiste da nessuna parte un sistema informativo serio, si tratta di sensazioni; questo non vuol dire che debbo dare psicofarmaci a tutti quelli che dicono di essere tristi. Gli psicofarmaci non sono come gli antibiotici, sono come la tachipirina, sono dei sintomatici, agiscono o come freni o come acceleratori. Se non si monitorizza l’andamento della risposta vengono fuori dei disastri perché ogni persona reagisce a proprio modo a tutte le sostanze esterne, il freno può diventare un acceleratore, l’acceleratore può diventare un freno. Bisogna conoscere gli psicofarmaci, saperli usare come appoggio, non come cura. La cura è il rapporto umano, il capire l’altro, essere con l’altro, solo così stabilisci delle potenzialità, delle possibilità di vita diverse. Dei meccanismi di azione degli psicofarmaci se ne sa molto poco, non si tengono presenti gli effetti collaterali. Se si seda troppo una persona diventa anche triste; allora si danno anche gli antidepressivi, gli antiepilettici come equilibratori dell’umore.Un rischio è rappresentato dalla“compliance”, l’adeguamento alla prescrizione.» Cita Allen Frances, il capo della “task force” del DSM IV (1994), professore emerito della Duke University degli Stati Uniti, autore del testo “Primo, non curare chi è normale” (2013, Bollati Boringhieri). «Si è reso conto del fiasco che aveva combinato, uso la parola fiasco perché l’ha detta lui, io direi del disastro combinato con quelli che l’hanno scritto. La sua intenzione era quella di evitare nel precisare i disturbi un business, è successo esattamente l’opposto. Non sono io basagliano che sono contro le diagnosi dall’inizio, a me basta il nome e cognome di una persona e poi vivere i suoi momenti, le sue emozioni, il livello di intensità, la sua produzione interna partendo dalla non accettazione della tristezza, dei lutti. La prima accusa a Basaglia è stata “nega la malattia mentale”. “Certo perché a noi interessa la persona”, come rispose a Sergio Zavoli (documentario “I giardini di Abele”, 1968). Dare gli antidepressivi ai giovani, è vergognoso perché non si considera la dignità di un giovane che attraversa periodi difficili, ha bisogno di essere sostenuto in tutti i modi, prima di tutto col cuore. Un dato gravissimo è che si danno psicofarmaci ai bambini, antidepressivi, l’anfetamina, detto “ritalin”(nome commerciale) per cui produce angosce, aggressività, istinti suicidi. Il 10% dei bambini dai sei ai tredici anni degli Stati Uniti viene imbottito con questi farmaci, in Italia sono trenta mila.»

Dopo i numeri, torna l’ironia «Michelangelo a Carrara vede un blocco di marmo ed esclama “Lì c’è Michelangelo. Oggi, gli avrebbero fatto un trattamento sanitario obbligatorio e imbottito di sedativi e tranquillanti!Anche Schumann è stato ricoverato in manicomio diverse volte per depressione. Hemingway prima di suicidarsi è stato trattato con elettroshock». Un dato di speranza, i chimici che stanno studiando l’asse intestino cervello: «noi abbiamo tutti gli psicofarmaci e le droghe esistenti nel nostro corpo, già prodotti dall’intestino, come il triptofano in base all’alimentazione (c’è nel cioccolato), è precursore della serotonina.» «Denuncio il dare psicofarmaci ai bambini perché è criminale, è un atteggiamento di emarginazione, di indifferenza proprio quando c’è bisogno di attenzione e di amore, da parte di tutti, soprattutto di chi ha ruolo di aiutarli.» Dopo alienista e neurologo, il termine psichiatra significa“medico della mente”. «Se sei medico della mente, vuol dire che la mente è di quella persona, di quella lì, non sei un meccanico che aggiusta tutte le macchine perché tutti i motori sono uguali.» A partire dal 1998 hanno messo ripetutamente in discussione la differenza di efficacia tra i farmaci antidepressivi e il placebo. L’antidepressivo ha un presunto principio attivo farmacologico dentro la pastiglietta o le gocce. Il placebo acqua o nel caso di pastiglie talco o amido, nessun principio attivo. «Irving Kirsch e Guy Saperstain (Connecticut University) hanno pubblicato i risultati di una loro revisione di 38 studi condotti con oltre tremila pazienti depressi in cui si paragonava l’efficacia degli antidepressivi a quelli dell’effetto placebo, dimostrando che sono indistinguibili. Il 75% dei pazienti guarisce indipendentemente dal fatto che abbiano ricevuto il farmaco vero o quello finto.»

Quando si parla di emozioni, Rissone tira fuori l’asso dalla manica. «Abbiamo migliaia di emozioni con tremila sfumature. E’ l’universo del possibile, non posso limitare a un fatto solo e cristallizzare il ruolo di una persona; vedo una persona triste e gli do una pastiglia che magari non serve a niente. Non posso cercare di essergli amico, di stare con lui, capire con lui? Quella è la migliore medicina, lui può reagire o no, dipende da lui, dalle possibilità che ha, dal coraggio che gli viene dato con un sorriso che libera le endorfine, ti apre il cuore. La follia nasce delle emozioni, c’è chi le coltiva e poi reagisce, sono dilettanti; c’è chi si dà da fare di più interpretando, elaborando di giorno e di notte. Così arriva a costruirsi un suo mondo in cui ci sono delle voci, quelle che si chiamano allucinazioni. Vede delle cose che io non vedo ma io non sono nel suo mondo, ha diritto di stare nel suo mondo, al massimo sono io che devo bussare e dire: “Scusa ci sono anch’io eh? Facciamo un piccolo percorso insieme, di fianco. Non ha più bisogno di scappare della vita”.»

Piergiacomo Oderda

 

 

Commenti