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L’attività giudiziaria ecclesiale piemontese per il bene dei fedeli

15/04/2014 8:51

«La dimensione giuridica e la dimensione pastorale del ministero ecclesiale non sono in contrapposizione, perché entrambe concorrono alla realizzazione delle finalità e dell’unità di azione proprie della Chiesa. L’attività giudiziaria ecclesiale ha, infatti, una connotazione profondamente pastorale, perché finalizzata al perseguimento del bene dei fedeli e alla edificazione della comunità cristiana… l’ufficio giudiziario è una vera diaconia, cioè un servizio al Popolo di Dio in vista del consolidamento della piena comunione tra i singoli fedeli, e fra di essi e la compagni ecclesiale». Sono le parole di Papa Francesco, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del tribunale della Rota romana (24 gennaio), poste in appendice al materiale cartaceo predisposto in occasione dell’inaugurazione del 75° anno giudiziario del tribunale ecclesiastico regionale piemontese (Terp). Le riprende il Moderatore, l’arcivescovo Cesare Nosiglia, e si unisce una preoccupazione che va a toccare direttamente il lavoro degli uffici famiglia (l’arcivescovo sbaglia la citazione, le parole di Papa Francesco in questo caso risalgono al discorso ai presuli della conferenza episcopale di Polonia, in visita “ad limina apostolorum”, 7 febbraio). «Bisogna chiedersi come migliorare la preparazione dei giovani al matrimonio, in modo che possano scoprire sempre di più la bellezza di questa unione che, ben fondati nell’amore e nella responsabilità, è in grado di superare le prove, le difficoltà, gli egoismi con il perdono reciproco. Bisogna chiedersi come aiutare le famiglie a vivere e apprezzare sia i momenti di gioia, sia quelli di dolore e debolezza». Si riprende la centralità della comunità cristiana nelle parole di Nosiglia, «l’operato di questa realtà ecclesiastica (Terp) non esime la comunità cristiana da un serio e approfondito accompagnamento… ma non bisogna escludere nemmeno i conviventi. Avvicinare con amicizia e serenità di dialogo queste coppie, offrire la possibilità di confrontarsi sulla Parola di Dio e sulle loro scelte di vita e problemi… Alle coppie e famiglie in difficoltà occorre riservare una cura tutta speciale”. Il vicario giudiziale, don Ettore Signorile, “sommessamente” nota che «nessuno ha pensato di consultare anche i Tribunale ecclesiastici», nella preparazione al Sinodo universale sulla famiglia. «Forse siamo ostaggi di una precomprensione che contrappone il “giuridico” al “pastorale”». Il cardinale Kasper, all’apertura del concistoro straordinario sulla famiglia, ha ribadito invece che “la dimensione giuridica e quella pastorale non sono in contrapposizione”. Estende le preoccupazioni espresse da Nosiglia alla formazione remota. «Molti matrimoni falliti giungono a questo Tribunale perché è mancata un’educazione alla vita di coppia, cioè un lavoro di accompagnamento che deve partire da lontano. Oggi la Chiesa fa fatica a parlare di matrimonio ai ragazzi e ai giovani; anche l’educazione sessuale è spesso trattata come un problema di tipo puramente tecnico o in un’ottica di conoscenza e controllo individuale. La coppia rimane una questione “da adulti”, peccato che molti anche ultra trentenni restino degli eterni adolescenti». Qualche cifra dal rapporto Istat del 13 novembre 2013, «relativamente all’Italia sono state celebrate con rito religioso 122.297 nozze, con un caldo di 33.000 unità negli ultimi quattro anni… Le convivenze “more uxorio” tra partner celibi e nubili hanno segnato l’incremento più sostenuto (594.000 nel 2011-12). Nella Diocesi di Torino nel 2012 si sono celebrati 2.756 matrimoni contro i 2.882 del 2011 e i 7.478 del 1993». Consultando le schede in appendice, si nota in realtà un aumento del numero complessivo di matrimoni (207.138, 2.308 in più rispetto al 2011). Tale aumento «è dovuto alla ripresa in cui uno, o entrambi, è di cittadinanza straniera: nel 2012 sono state celebrate 30.724 nozze di questo tipo (pari al 15% del totale), oltre 4 mila in più rispetto al 2011». I più diffusi sono matrimoni tra rumeni, seguiti dai cinesi e dai nigeriani. Va da sé la necessità di integrazione tra ufficio famiglia e ufficio migranti. «Nel 2011 le separazioni sono state 88.797 e i divorzi 53.806 sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente… i tassi di separazione e di divorzio totale sono in continua crescita. Nel 1985 per ogni mille matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e 182 divorzi». Claudia Izzi, docente di giurisprudenza presso la Pontifica Università Lateranense, tratteggia cosa s’intende per “bonum coniugum”, definito da Benedetto XVI nell’ultimo discorso ai giudici della Rota romana, prima di annunciare la propria decisione di rinuncia all’ufficio come «volere sempre e comunque il bene dell’altro, in funzione di un vero e indissolubile “consortium vitae”»(26 gennaio 2013). Considerare «il bene in questione come possibile oggetto di simulazione del consenso matrimoniale» non è stato ancora sufficientemente metabolizzato nell’ambito giudiziario canonico. L’analisi va collocata nell’ambito della visione personalista del matrimonio offerta dal Concilio Vaticano II, “intima comunità di vita e di amore coniugale” (GS 48). Il “bonum coniugum” si individua quale «ordinazione naturale del matrimonio ed il definitivo abbandono della gerarchia dei fini matrimoniali… reciproca integrazione e progressivo perfezionamento degli sposi, mediante la mutua assistenza, l’intima unione delle loro persone e delle loro attività: una comunione intima e amorosa, totalizzante e profondamente coinvolgente ogni dimensione in cui è implicata tutta la persona, non solo nella sfera fisica o sessuale, ma insieme in quella intellettiva, volitiva, affettiva, morale, spirituale». Il bene dei coniugi «postula una concezione della relazione matrimoniale fondata sulla parità ontologica, complementare dualità ed uguale dignità delle persone dei coniugi (GS 49)». Si muove dalla lettura in combinato dei commi 1055§1 (“indole sua naturali ad bonum coniugum ordinatum”) e 1057§2 (volontà espressa nel consenso coniugale di reciproca donazione e accettazione, totale e definitiva, delle persone dei coniugi per costituire il consorzio matrimoniale). «Il “minimum” che non può mancare sin dal momento costitutivo del matrimonio non è l’integrazione personale già pienamente realizzata ma l’intenzionalità e la capacità sufficiente ad orientarsi ad essa». «Si è posta la questione dell’autonomia del bene dei coniugi rispetto ai “tria bona” agostiniani, “la pro creatività, l’esclusività e la perpetuità” (Benedetto XVI, Allocuzione alla Rota romana)». E’ orientamento prevalente «indicare nel nuovo bene la somma dei tre beni classici, ritenendo pertanto che il “bonum coniugum” non comprendesse diritti e doveri distinti da quelli che promanano dai tre beni agostiniani». Nell’allocuzione rotale del 1999 il Beato Giovanni Paolo II intendeva l’”amor coniugalis” «inteso non come mero sentimento, ma come impegno verso l’altra persona, liberamente assunto nel consenso matrimoniale, di volere per sempre il bene dell’altro, di realizzare nella quotidianità la donazione-accettazione assunta con patto irrevocabile alle nozze (21 gennaio)». Si prospetta nella giurisprudenza più recente il bene dei coniugi nella sua dimensione dinamica, quale impegno presente nel consenso, ma con la proiezione futura del progressivo perfezionamento interpersonale ed intrapersonale degli sposi nella coniugalità. L’ipotesi di nullità del matrimonio dovuta alla deliberata esclusione del “bonum coniugum” si concretizza in un’intenzionalità pseudo matrimoniale in quanto indirizzata ad una realtà priva di un elemento che appartiene alla struttura ontologica del matrimonio. Il maggior numero di cause di nullità matrimoniale in realtà è dovuta a incapacità naturale del nubente. Le possibili modalità di rifiuto del bene personalistico si configurano come «possibile strumentalizzazione del coniuge o della relazione interpersonale coniugale e, più esattamente, nel mancato riconoscimento dell’altra parte nel suo valore di persona umana e di coniuge, negandone la dignità, la libertà o i diritti fondamentali, oppure nel rifiuto di ordinare la comunità di vita coniugale al bene dell’altro in una unione paritaria, duale e complementare”. Nella quarta di copertina del materiale cartaceo si ritrova una parte dell’intervento di Ombretta Fumagalli Carulli nella prolusione del 2013 in cui aveva sottolineato la necessità di ampliare l’oggetto del consenso al di là dello “ius in corpus”, per comprendervi la reciproca donazione delle persone dei suoi due sposi: una “res matrimonialis” dunque più ampia. L’”una caro” è intesa come unione dei cuori oltre che dei corpi.

Piergiacomo Oderda

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