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Il cristianesimo di tradizione ha i giorni contati, in alcune zone è già deceduto!»

14/04/2014 8:50

“Fuori dal recinto. Giovani, fede, chiesa: uno sguardo diverso”

Incredulità e indifferenza

sono le due categorie che

si scomodano per motivare

 la chiusura dei giovani alla

 dimensione trascendente

“Fuori dal recinto. Giovani, fede, chiesa: uno sguardo diverso” è l’accattivante titolo di un saggio a cura di Alessandro Castegnaro con Giovanni Dal Piaz e Enzo Biemmi (Ancora, 2013). «E’ quello che mi è parso di capire sui giovani, su un programma di ricerche di cui il libro è una sintesi» confida Castegnaro, docente di sociologia delle religioni, presso la Facoltà teologica del Triveneto, durante il suo intervento nell’annuale convegno regionale degli insegnanti di religione, tenutosi a Valdocco. Invita altresì ad «uscire dal pessimismo in cui le generazioni adulte e anziane periodicamente indulgono, probabilmente a motivo della scarsa considerazione di sé». Incredulità e indifferenza sono le due categorie che si scomodano per motivare la chiusura dei giovani alla dimensione trascendente. Un sottile senso ironico serpeggia tra le sue parole, «il cristianesimo di tradizione ha i giorni contati, in alcune zone è già deceduto!». I giovani non ammettono una fede “per convenzione” ma non sono chiusi ad una fede “per convinzione”. La Chiesa deve capire che sono “fuori dal recinto”. Usciti da un cristianesimo socialmente determinato, «l’identità religiosa è frutto di scelta, di appropriazione personale. Cosa divengono le religioni in questo contesto? Lo spazio nel quale è possibile portare avanti esplorazioni, condurre incursioni, fare esperienza, trovare riposo o un momento di ristoro, in una personale ricerca di senso se sono accoglienti e offrono occasioni di esperienze significative». Una giovane scout, Bianca (nome di fantasia), risponde alla domanda su quanto incidano sul suo comportamento le regole della Chiesa: “Non tanto, in ogni caso decido da me”. «Siamo usciti dal recinto, non sono le mura della chiesa, chi sta dentro e chi sta fuori. E’ un fatto mentale, che la risposta non venga prima della domanda, l’obbedienza prima della libertà. Ciò che permette di considerare plausibile, degno di una risposta è traslocato dall’empireo inviolabile della religione all’intimità spirituale». Dopo la cesura del cammino di iniziazione cristiana, le domande religiose si rinviano alle età successive, i giovani hanno una «priorità, necessità di risolvere altre urgenze rivelative. La religione non è rimossa o negata ma messa in “standby”, crioconservata». L’idea che i giovani siano strutturalmente increduli non trova conferma, anzi spesso c’è un’eccessiva credulità. «Contano le sintassi con cui vengono descritti. Ad una domanda sulla vita eterna, su cosa ci sia dopo la morte, le proposizioni date sono di tipo condizionale: “c’è la speranza che non sia finito tutto lì, voglio che esista, è desiderabile, mi piacerebbe credere”». “Credo in un Dio che forse c’è e spero ci sia”, “Ho fede in un Dio che spero mi ascolti”, sono altre risposte. Per Federico, pregare è come “lanciare un messaggio nello spazio che qualcuno potrebbe raccogliere, forse”. Il ricercatore suggerisce due paia di occhiali: 1. «Come quando si è al cellulare, per tutti vi sono momenti in cui “c’è campo” e momenti in cui “non c’è campo”. Lo spazio del religioso è un mondo popolato di forze e di segnali che vanno e vengono, che ora inducono una percezione e una comunicazione, ora fanno sperimentare la perdita del segnale e il silenzio». I giovani vivono sull’incerto crinale esposti al desiderio di credere ma attratti da un mondo adulto in cui si può non credere. 2. Guardare le persone come storia e non come istantanea, «non sono solo quelli che vedete lì oggi, ma sono storia, traiettoria, una storia sacra direbbe De Certeau». L’ora di religione lascia nelle menti dei ragazzi tanto nei termini di una testimonianza credente, «è importante farla con passione e slancio». “Aprite le porte e uscite!” è una metafora che chiude la ricerca “C’è campo? Giovani, spiritualità, religione” (Marcianum Press, 2010) sempre a cura di Castegnaro. «E’ un invito con cui i giovani dimostrano di poter saltare facilmente la separazione che esiste, a patto che sia chi sta dietro la porta a fare il primo passo. Non saranno loro a venire, bisogna piuttosto andare. E non primariamente per ammaestrare… non sono i giovani che devono tornare nella Chiesa; è piuttosto questa che deve ritornare tra i giovani».

Piergiacomo Oderda

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