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I rapporti tra docente e alunno nella scuola. Scontro o riscontro?

02/12/2013 19:51

Non vi è dubbio che il rapporto docente-alunno sia spesso intrappolato in dinamiche di tipo disfunzionale.

Così come avviene per il rapporto genitoriale, spesso il rapporto insegnante–allievo finisce per comporsi, peraltro senza che i protagonisti ne abbiano coscienza, in un rapporto basato su equivoci comunicazionali. La quotidianità, la stanchezza, l’abitudine e la scarsa volontà di prestare attenzione, di sentire “mettendosi in ascolto”, peggiorano la situazione nella routine del rapporto.

Certo è che, attraverso la relazione tra docente ed alunno si giocano non solo dinamiche interpersonali, già di per sé fondamentali, ma la stessa condivisione della conoscenza può attuarsi solo dal momento in cui il contesto comunicazionale sia quanto più possibile sgombro da distorsioni, da pregiudizi educativi e da giochi psicologici, così come vengono intesi dall’Analisi Transazionale.

La comunicazione viene ormai intesa come un fatto totale.

Non possiamo più considerarla come un “ trasferimento di informazioni da una mente ad un’altra”, ma come un contesto all’interno del quale si giocano influenze reciproche, feedback, in cui si inscrivono valori personali, rappresentazioni sociali e valori culturali.

Basti pensare alle difficoltà di comunicazione, dovute non solo alla lingua, che si incontrano con alunni di altre culture ed agli equivoci comunicazionali che si vengono a creare con i linguaggi non verbali.

E’ importante quindi pensare al momento della comunicazione come ad una messa in atto di relazioni psico-sociali.

E’ necessario innanzitutto averne coscienza ed in secondo luogo, data l’assoluta automaticità del rapporto comunicazionale acquisire abitudine nell’analizzare il messaggio verbale, nel considerarlo anche negli aspetti che superficialmente non è semplice cogliere. Certo è importante una grande attenzione al rapporto interpersonale ed una buona conoscenza non solo dell’altro ma anche di sé stessi.

 

I rapporti interpersonali e la comunicazione che di essi fa parte possono ad esempio venire ostacolati da “Ordini genitoriali” di cui si è occupata l’Analisi Transazionale.

L’insegnante può venire aiutato nel rapporto con l’alunno se prende in considerazione quanto nella storia personale, nel vissuto del singolo ragazzo possano pesare questi messaggi, questi condizionamenti che i genitori pongono al fine dell’accettazione del proprio figlio. Per l’Analisi Transazionale gli ordini sono : “Compiaci”, “Sii perfetto”, “Sii forte”, “Spicciati”, “Tenta disperatamente”.

Non possono venire considerati decisamente consigli sbagliati. Il problema si crea quando la pressione da parte dei genitori è così grande da far si che il figlio introietti questi “consigli” e ne risulti così fortemente limitata la libertà di scelta del bambino nelle diverse situazioni.

Il docente che è in grado di riconoscere questi pregiudizi educativi all’interno del comportamento dell’alunno potrà fornirgli la possibilità di uscire dai vincoli che si pone limitando le sue possibilità di scelta nell’attuare un comportamento piuttosto che un altro, nel tentare quindi di diventare sé stesso.

 

La stessa Analisi Transazionale di Eric Berne ci mette in guardia dai “Giochi psicologici” che gli insegnanti ben conoscono e che spesso li fanno cadere intrappolati in un faticoso ed improduttivo rapporto disfunzionale.

Questi giochi altro non sono che mezzi che l’alunno mette in atto per esprimere indirettamente in maniera distorta un disagio un bisogno non preso in considerazione.

Ritengo molto utile la categorizzazione che Berne fa dei tre giochi “Perché non ? Si ma…”, “Non sono capace”, “Prova a smuovermi”, proprio perché dalla consapevolezza e dal riconoscimento di queste dinamiche si apre la via di fuga dal meccanismo scorretto.

In ognuna delle tre categorie che abbiamo citato l’insegnante diviene protagonista del gioco quando mette in campo la debolezza del “ho bisogno di sentirmi utile”.

L’insegnante che si sente realizzato nel dare risposta ad un bisogno dell’alunno senza porsi il problema se l’alunno abbia davvero bisogno di quell’aiuto per crescere, diviene suo malgrado elemento distorsivo del rapporto.

 

Questa relazione simbiotica che ci ricorda tanto la mamma premurosa che vizia e copre di attenzioni il figlio che per crescere avrebbe invece bisogno di autonomia, viene spesso riproposta anche in classe ed anche con gli alunni disabili che tanto faticano a sviluppare la propria indipendenza.

Il rischio all’interno della nostra cultura “mammona” ed iperprotettiva è forte, così come è insito nella scelta del lavoro del maestro, dell’insegnante, il rischio di aiutare per gratificare sé stessi.

Un altro aspetto davvero interessante di questa relazione simbiotica è quello dell’insegnante che ha paura dei risultati dei propri alunni perché da essi dipende il proprio successo professionale. E’ per questo che si può assistere ad insegnanti particolarmente severi che al momento degli esami soccorrono il propri alunni per evitare inconsciamente una disfatta, un’onta sulla propria carriera.

 

Queste analisi lucide dei comportamenti e dei rapporti disfunzionali dovrebbero essere prese in considerazione nella normalità del lavoro dell’insegnante e dovrebbero creare un’autocoscienza forte delle dinamiche che si tendono ad instaurare con l’alunno.

 

Fondamentale è la consapevolezza, la presa di coscienza dei messaggi impliciti contenuti nella comunicazione tra insegnante e allievo e di conseguenza il saper indirizzare il ragazzo verso una forma di comunicazione più diretta che espliciti i propri bisogni e le proprie difficoltà nascoste.

L’autenticità nel rapporto che deve sostituire le difficoltà di comunicazione ed il rapporto disfunzionale ha alla base una grande necessità di consapevolezza da parte dell’insegnante del proprio ruolo competente di educatore e non solo di trasmettitore di dati.

 

 

Enrico Noello (Insegnante di letteratura e storia presso L’I.I.S “ Alberti-Porro” di PINEROLO – Sezione

Turistica.

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