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Festival delle colline numero 18.

20/06/2013 11:20

Si inizia con uno spettacolo forte “Poco lontano da qui”, incontro/scontro tra 2 attrici troppo diverse o giustamente diverse per affrontare anche il tema della violenza.  
Si tratta di Chiara Guidi ed Ermanna Montanari, voci storiche del teatro di ricerca come Societas
Raffaello Sanzio e Teatro delle Albe. Per una volta insieme. Sono due donne che si combattono, che  richiamano  Simone Weil,  Rose Luxemburg,  Anna Politkovskaja ed altre migliaia di donne massacrate dalla violenza cieca del potere, da chi combatte il pensiero altro con gli schiaffi, la tortura, la morte. Ma come metterla in scena senza cadere nella retorica, nel già visto o detto in mille film, spettacoli, libri se non con il gioco teatrale.

Un gioco anche doloroso fatto con parole sussurrate, urlate, pensate, vissute fino in fondo. Con  immagini e scene che si alternano o si sommano ai suoni, alla violenza gratuita, ai capelli
tirati, alla testa sbattuta ripetutamente, al fango che oltre a sporcare innalza. Ma c'è anche amore e tolleranza e complicità. Sono Chiara ed Ermanna che si mettono a nudo per esplorare, scavare, soffrire e piangere. Ridere. La prima è dolce, disponibile, sensibile, grata e curiosa ed ha gli occhi che luccicano. L'altra no, è dura, secca, cattiva ed anche quando riceve doni mostra un cuore arido. Ma solo perché oggi gioca questo ruolo, forse domani se lo scambieranno. E toccherà a lei essere Rosa, Simone, Anna.
La sensazione finale è che solo 2 donne possano entrare nel baratro della follia umana ed uscirne
indenni.
Prendere a pretesto una lettera di Rose Luxemburg per parlare di adesso e di luoghi “Poco lontano da qui”.

 

Il 4 ed il 5 giugno al teatro Gobetti é stato di scena “Invidiatemi come io ho invidiato voi”, dell'attore, regista, drammaturgo siciliano poco più che trentenne Tindaro Granata. Uno spettacolo ricco e complesso, dal sapore pirandelliano e più precisamente da “Sei personaggi in cerca d'autore”. Il tema é difficile da gestire: come trattare un caso di pedofilia (tra l'altro realmente successo), senza cadere nella voglia di condannare a priori, senza approfondire anche da un punto di vista privato tutte le ragioni in campo. A cominciare dalla madre,  colei che é forse dopo la bimba la vera vittima di una violenza premeditata. Senza sentire le ragioni della nonna, del padre, della zia. E senza ascoltare il vero cattivo di tutta la vicenda, quello che non accampa scuse o motivazioni facilmente confutabili. L'ambientazione, fredda ed essenziale riporta ad un processo, che può essere un'aula di tribunale ma anche l'interno delle case dei conoscenti e vicini dove ognuno esprime giudizi e condanne. E tutti sono chiamati a deporre. E la condanna nei confronti della madre é già scontata perché é lei la vera colpevole, non il padre dalla personalità debole e facilmente controllabile, non la nonna che ha come unico obiettiva la difesa della figlia a prescindere, non la zia da parte di padre troppo attaccata al fratello e pronta ad accusare la cognata. Ciò che colpisce è sopratutto la mancanza di ipocrisia, di come tutto sia esposto senza giri di parole e senza che ci sia qualcuno davvero pentito. Grande prova degli attori, sopratutto della madre che risulta davvero credibile quando giustifica la scelta di dare la figlia al “cattivo” in nome di un amore che si stenta ad intravedere.

 

 

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