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I GIOVANI DI OGGI NON HANNO PIÙ VOGLIA DI LOTTARE?

18/03/2013 18:31

I nostri ragazzi hanno perso la voglia di lottare, di cambiare le cose. Gian Vittorio Avondo: “Le cause sono da ricercare soprattutto nella scuola e nella tecnologia.”

 

I moti studenteschi del '68: l'emblema della ribellione contro il sistema, della forza che le persone possono manifestare unendosi insieme per protestare, degli ideali di uguaglianza sociale e culturale. Gli studenti, i giovani in quegli anni erano determinati a cambiare una realtà ingiusta, con una scuola pubblica classista che non dava le stesse possibilità di formazione a tutti i cittadini; e ci sono riusciti.

Gian Vittorio Avondo partecipò attivamente agli eventi di quegli anni, anche se ci tiene a precisare che “Non ero un leader, avevo solo diciassette anni all'epoca, partecipavo ai cortei e basta.” Mi chiedo se non sia troppo modesto, ma mi fido.

Cosa fece sì che i giovani si unissero in maniera tanto uniforme e convinta, riuscendo a creare un movimento su così larga scala, pur senza mezzi come internet o i cellulari? Da quello che ho modo di vedere, i giovani di oggi non mostrano la stessa forza e la stessa volontà. Perchè?

Furono sostanzialmente due cose: gli ideali che ci guidavano e la formazione culturale che avevamo. La nostra scuola, pur con tutti i difetti che aveva e che noi combattevamo, ci ha dato degli strumenti critici straordinari e una preparazione culturale profonda, molto superiore rispetto a quella che garantisce oggi la scuola moderna. Questa, negli ultimi anni, è stata devastata dai nostri politici, che le hanno drenato risorse enormi, non permettendole di funzionare. Credo, poi, che il problema siano anche gli insegnati: pretendono troppo poco dagli studenti, dando loro modo di riuscire anche senza impegnarsi. Il buon insegnante non è quello che da voti alti a tutti, ma quello che pretende il massimo dagli studenti, che li forma in modo completo ed efficace.”

C'è quindi un paradosso piuttosto evidente nelle proteste del '68: proprio il sistema scolastico che gli studenti si proponevano di abbattere ha dato loro le capacità per farlo.

Esatto, la scuola aveva dato loro gli strumenti per iniziare una lotta simile. Le proteste degli ultimi anni invece, penso a quelle contro la riforma Gelmini, non sono guidate da ideali, non hanno nulla di alternativo e concreto da proporre al sistema vigente.

Il problema però, non si limita alla scuola. Guardi” fa un ampio gesto con il braccio, indicando il computer, la televisione e il telefono cellulare alle sue spalle “Il problema è che vi hanno bruciato l'anima.” E' la prima volta che include anche me nei “giovani” di cui stiamo discutendo e non a torto, avendo io vent'anni. La frase, così forte e radicale, inizialmente mi turba, ma capisco che quella del professore non è un'accusa, ma una triste constatazione. “Tutta questa tecnologia vi ha bruciato l'anima. Quando io avevo la vostra età, non si poteva passare il tempo libero davanti al computer o al telefono e la TV si guardava molto poco. Rimaneva poco da fare e una delle attività principali era leggere. Leggere: il tempo libero diventava un momento di formazione individuale, di accrescimento del proprio bagaglio culturale da utilizzare poi nella vita di tutti i giorni. Giocare al computer non è come leggere “Il Germinale” o “I Miserabili”, mi capisce? Comunque io stesso non sono immune dalla tecnologia, ormai non posso più farne a meno e i momenti che dedico alla lettura sono molto pochi.”

Quindi, in sostanza, l'effetto è che siamo diventati meno riflessivi, più apatici?

Sospira e allarga le braccia, sconsolato. “Sì, ma non potrebbe essere diversamente, dopo tutto quello che vi hanno fatto: precariato,contratti a tempo determinato, distruzione della scuola. Sono riusciti (i politici e i ceti dirigenti n.d.a) a farvi quello che non sono riusciti a fare con noi. Ovviamente non voglio dire che tutti i giovani siano così, ma la maggior parte, purtroppo, sì.”

Sembra, infatti, che buona parte dei giovani preferisca, piuttosto che lottare per cambiare il proprio Paese, abbandonarlo per cercare fortuna all'estero.

Ride. Una risata amara però, che ha poco a che fare con l'allegria. “Certo, che prospettive avete qui? I nostri politici si sono mangiati tutto. Chi può cerca di andare via, in qualche luogo dove pensa di avere un futuro.”

Fa una pausa, chiaramente sovrappensiero. Io sto ancora riflettendo su quanto appena appreso, quando riprende a parlare:

Tutto questo discorso si può collegare a quello fatto prima sulla Resistenza. Quegli uomini, quei giovani che decisero, dopo l'8 settembre del '43, di andare sulle montagne a combattere contro gli invasori e contro i fascisti, dove presero gli strumenti critici per una decisione simile? Dalla scuola, dai libri: la mia scuola non era infatti molto diversa da quella di mio padre, seppur priva degli elementi fascisti. Ecco, credo che se oggi ci ritrovassimo in una situazione del genere, i giovani ci metterebbero molto di più per ribellarsi. Prima o poi lo farebbero, certamente, ma dopo quanto?”

Quest'ultima affermazione mi gela, facendomi tornare in mente uno degli slogan della terribile dittatura della distopia descritta dallo scrittore George Orwell in “1984”:

Ignoranza è forza.”


(In foto: picchetto operaio-studentesco tra gli anni '69-'70)

 

Simone Sindoni

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