Facebook Twitter Youtube Feed RSS

Veni Legi Vidi. Django: la D è muta

21/01/2013 19:19

Avete presente i classici Western con indiani, cowboys e diligenze? Ecco, dimenticateli. L'ultimo film di Quentin Tarantino, “Django Unchained”, è tutto fuorché un comune Western; potrebbe anzi essere definito, vista l'ambientazione nel Sud degli Stati Uniti, un Southern. Inspirato indubbiamente alla grande tradizione degli Spaghetti Western, Django propone una lettura caricaturale del mondo americano pochi anni prima della guerra civile, con una critica alla barbarie della schiavitù nello stile unico del regista.

La trama del film, omaggio in chiave moderna all’omonimo capolavoro del '66 di Sergio Corbucci, si sviluppa principalmente intorno al motivo della vendetta, che il protagonista, umiliato da anni di soprusi e separazione dalla moglie, desidera ottenere.

Siamo nel 1858, il cacciatore di taglie tedesco King Schultz (Christoph Waltz, premio Oscar come migliore attore non protagonista per “Bastardi senza gloria” e Golden Globe per questa interpretazione) sta cercando l'unica persona che conosca il volto delle sue prede, lo schiavo nero Django (Jamie Foxx). Dopo averlo strappato ai suoi padroni, il cacciatore propone al ragazzo un accordo: la libertà in cambio del suo aiuto per scovare i tre assassini. Per il protagonista si tratta di un'occasione irripetibile per uscire dalla schiavitù, diventare un uomo libero e trovare sua moglie, Broomhilda (Kerry Washington), schiava anche lei in qualche piantagione del Mississippi. Tra i due uomini si instaura da subito un rapporto di collaborazione paritaria, nonostante Schultz sia formalmente padrone dell'altro. Dopo un inverno passato ad uccidere malviventi per soldi, i due uomini, diventati ormai amici, si dirigono verso la temuta piantagione di Candyland, dove hanno scoperto trovarsi Broomhilda. Qui si scontrano con l'eccentrico Calvin Candie (Leonardo DiCaprio), proprietario della piantagione e appassionato di combattimenti tra schiavi neri, i cosiddetti “mandingo”.

Alle tematiche della schiavitù e odio razziale si oppone, per contrasto, quella dell'amicizia improbabile tra Django e Schultz, unico personaggio che pare immune dalla follia razzista. L’intera pellicola è una grande satira della società dell’epoca, rappresentata in modo grottesco e caricaturale. Mentre i personaggi principali presentano personalità fortemente caratterizzate e sanno benissimo quello che vogliono, i secondari sono chiari stereotipi degli abitanti del Sud degli Stati Uniti, schiavi dei luoghi comuni e in perenne attesa di qualcuno che dica loro cosa fare. Anche l'esagerato uso della violenza, tratto tipico dello stile di Tarantino (che anche in questa pellicola non ha resistito alla tentazione di una comparsata “esplosiva”), contribuisce a creare l’atmosfera satirica; le scene più tragiche e violente vengono ribaltate, sdrammatizzate al punto da sembrare quasi comiche. Una sequenza divertentissima ed esemplificativa è la sparatoria a Candyland, che con i suoi eccessi dissacra le classiche scene dei western. Sempre su questa linea i numerosi rimandi al celebre film di Mel Brooks, “Mezzogiorno e mezzo di fuoco”, al quale sono esplicitamente ispirate alcune scene. L’ingresso di Django nel villaggio iniziale, per esempio, è un chiaro riferimento a quello a suon di campane dello sceriffo Bart nel tranquillo villaggio di Rock Ridge.

Lo stile, fin dai titoli di testa, è chiaramente influenzato dagli Spaghetti Western tanto amati dal regista, con l'utilizzo di tecniche datate che contrastano con gli aspetti moderni, tipici del cinema hollywoodiano. Improvvisi zoom sui volti e testi narrativi a scorrimento sono affiancati da un montaggio classico e una recitazione moderna. Il risultato finale è la rottura con il linguaggio

convenzionale, che porta allo smascheramento della finzione cinematografica di fronte agli occhi dello spettatore. Effetto simile è dato dalla colonna sonora, che alterna tracce classiche del genere western a musiche tratte da generi moderni, quali hip hop e rock. Tuttavia, in questo caso, la dissonanza non è così netta, poiché le musiche, pur appartenendo ad un’epoca diversa da quella degli eventi narrati, si adattano bene alle immagini che accompagnano.

“Django Unchained” è un film che affronta temi delicati con un approccio ironico, divertente e con la nota di follia tipica di Tarantino. La narrazione degli eventi procede rapida e coinvolgente, con un leggero rallentamento nella parte centrale, che viene però ampiamente recuperato nel finale. La pellicola non deluderà chi ha apprezzato “Bastardi senza gloria”, visti i molti punti in comune. Entrambi, infatti, affrontano in chiave comico-satirica momenti bui della storia dell’uomo. Proprio questo è l’intento del regista, che ha concepito i due film come primi capitoli di una trilogia, con lo scopo di far luce su pagine storiche che solitamente si preferisce non menzionare. Il terzo capitolo probabilmente affronterà i momenti successivi allo sbarco in Normandia e, visti i primi due, difficilmente deluderà le aspettative.

 

Matteo Olivieri

Simone Sindoni

 

 

 

 

 

 

 

 

Commenti