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Accadde a Cavour …tra storia e leggenda.“Il nome della mela” e la maledizione dell’Abate

16/05/2012 17:21

Parte prima

 

 

“ …il Signore mi conceda la grazia di essere testimone trasparente degli accadimenti che ebbero luogo all’abbazia di cui è bene e pio si taccia ormai anche il nome, al finire dell’anno del Signore 1327…”.

Così Umberto Eco scriveva all’inizio del suo capolavoro “ Il nome della rosa” in cui raccontava i terribili fatti e misfatti successi in una non ben precisata abbazia del Piemonte occidentale (fatti desunti, a sua detta, da un libro del 1842 di un tale Abate Vallet “ Le manuscript de Dom Adson de Melk” che asseriva di riprodurre, a sua volta fedelmente, un manoscritto dei primi anni del XIV secolo). Un romanzo storico che magistralmente ritrae i tempi duri ed oscuri delle nostre contrade nell’epoca medioevale. Ebbene, anche a noi, è capitato di leggere, per puro caso, un antico documento dello storico Lanfranco Davito (pubblicato nei primi anni 60’ sulla rivista mensile “ Caval d’Brons” che esponeva una storia, seppur breve, ma quasi altrettanto misteriosa, curiosa e singolare che sarebbe avvenuta nell’anno del Signore 1279 nella nostra Abbazia di Santa Maria di Cavour.   Ma prima di esporre questi accadimenti che noi, parafrasando Eco, abbiamo un po’scherzosamente denominati “ Il nome della mela” facciamo un brevissimo ma dovuto escursus sulla storia della nostra antichissima Abbazia…

Nelle serene e luminose giornate estive, trovandosi sulla punta della Rocca di Cavour e ammirando il maestoso paesaggio sottostante, appare una sconfinata distesa di prati, con lunghe file d’alberi disposti in perfetta simmetria, intervallati qua e là da piccole e grandi cascine solitarie. Ma, se lo sguardo si volge verso la strada che conduce diritta a Saluzzo, salta immediatamente agli occhi una macchia bianca, una costruzione sovrastata da un campanile in stile gotico-romanico: si tratta dell’Abbazia di Santa Maria di Cavour, un centro ideale cui convergono le strade verso cui sono rivolti tutti i cascinali!

Ed è facile allora, farsi prendere dalla fantasia ed indulgere in pensieri meditabondi immaginando in quelle strade assolate, sotto quelle piante, fila di frati vestiti di bianco e nero (ordine dei Benedettini Neri) che passeggiano, pregano o laboriosamente zappano e coltivano i campi circostanti… (ora et labora…). E, se la fantasia corre ancora più indietro nel tempo, immaginare, proprio lì, sotto i nostri occhi, quello che era l’antico foro romano. Infatti, nel luogo in cui sorge l’attuale Abbazia, oggi uno dei più insigni ed antichi monumenti subalpini, era localizzato il “Forum Vibii Caburrum, eretto dal Proconsole di Giulio Cesare in Gallia Cisalpina, Caio Vibio Pansa. Dopo il lungo periodo romano, di relativo fulgore, nei secoli successivi, Caburrum, subì saccheggi e distruzioni da parte dei Longobardi (nel V Secolo d.C.) e dai Saraceni (nei secoli IX e X). Ma, se le distruzioni fecero perdere a Cavour il suo antico splendore cittadino, trasformandolo in un semplice borgo, il valore religioso di Cavour si illuminò sempre di più, tanto che nel secondo secolo D. C. a Cavour esisteva già una chiesa, cioè una comunità di Cristiani alla quale facevano capo i villaggi vicini: si trattava di un importante monastero priorato dei monaci Agostiniani che erano stati scacciati dall’Africa. Ma un altro fatto conferma l’importanza della Cavour religiosa: una lapide del V sec. D. C. che parla di S. Proietto Vescovo, lapide che attesta Cavour come sede di Vescovado.

Ed ancora nell’anno 1037 il Vescovo Landofo di Torino, dalle macerie di precedenti distruzioni, faceva sorgere un altro edificio religioso, fondando così una delle prime abbazie del Piemonte, con il nome di Santa  Maria e dotandola di vasti possedimenti. Nel 1162 l’Imperatore Federico Barbarossa l’assoggettò affidandola alla giurisdizione dei Benedettini della Sacra di S. Michele della Chiusa.

Di notevolissimo rilievo storico, la chiesa inferiore, mirabile esempio d’arte paleocristiana, ha un altare costituito da tre pezzi di colonna romana (resti della Caburrum pagana e il più antico del Piemonte) ed è formata da tre navate suddivise da colonne in pietra sormontate da capitelli con figure floreali in stile longobardo.   L’Abbazia si presenta quindi come diretta filiazione della primaria Abbazia di S. Michele della Chiusa. Le due Abbazie, per l’importante funzione che ebbero nel gioco degli equilibri politici e della supremazia territoriale, ricevettero entrambe appoggi politici: dai Savoia quella di S. Michele, dai Vescovi di Torino quella di S. Maria di Cavour. Infatti, per i Savoia la prevalenza del monastero di S. Michele significava rafforzare il proprio dominio sul territorio di Pinerolo mentre all’Episcopato Torinese interessava la conservazione dell’autonomia di S. Maria di Cavour. Savoia ed Episcopato rappresentano quindi le “due forze storiche “che alimentano e condizionano le vicende storiche dell’Abbazia di S. Maria, per il predominio della quale, si batteranno con astuzia e con violenza nella seconda metà del sec. XIII. E tali aspre lotte, più che il degrado economico, faranno decadere l’Abbazia in una grave e profonda desolazione, tanto che, perso il suo ruolo strategico, venne affidata in “ Commenda” da Amedeo VIII a Cardinali, Signori del vicinato e ad ” altri ecclesiastici ”. Bisogna poi considerare che in quei tempi molti monaci appartenevano a famiglie signorili.  Infatti, nella seconda metà del secolo XIII vi compaiono nomi come i Bersatori, i Lucerna ed i Signori di Bagnolo. E questi monaci conducevano nel monastero una vita, per quei tempi, assolutamente privilegiata.   Per alcuni la vita monastica non era una vera vocazione ma un modo comodo e libero di vivere. In molti casi era rassegnazione al destino di non primogenitura e quindi un’"escamotage” per poter usufruire ‘’in altro modo’’ a quanto per le’’ usanze dell’epoca ‘’ avevano dovuto rinunciare.  Dopo l’anno 1000 avvenne anche l’arricchimento dei monasteri con lasciti e donazioni di Principi, Signori e di persone pie (anche ad espiazione dei peccati terreni); e con la ricchezza, il lusso, la vita comoda, talora oziosa, si infilarono talvolta (per fortuna non sempre) anche vizio e ribalderia. Sono cose umane e, l’umano ebbe talvolta il sopravvento sul divino e la materia sullo spirito. E, principi e signori, vescovi ed ecclesiastici, si servivano a volte dei monasteri e delle abbazie per scopi politici, utilizzandoli come avamposti di sicurezza, veri e propri fortilizi, dei loro diritti feudali.

Segue nel prossimo numero

  Dario e Giovanni Poggio

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