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Mobilitazione per rivendicare il “diritto al futuro” delle imprese e delle famiglie

08/05/2012 14:12

ASCOM-Confcommercio e Confesercenti di Torino e Provincia  hanno organizzato una giornata di mobilitazione per rivendicare il “diritto al futuro” delle imprese e delle famiglie.  Anche a Pinerolo la manifestazione l’11 maggio. “Chiudono le nostre imprese, chiude l’Italia…Vivono le nostre imprese, cresce l’Italia”: è questo il messaggio della grande “giornata di mobilitazione”, programmata a livello nazionale per il prossimo venerdì 11 maggio, in cui delegazioni di Ascom-Confcommercio e Confesercenti Torino incontreranno le Istituzioni locali, i Parlamentari piemontesi e il Prefetto.  In occasione di ogni incontro verrà consegnato alle Autorità copia del Documento Unitario (“I perche di una mobilitazione”) contenente gli elementi chiave di una “protesta” che non vuole mancare di essere anche una “proposta”.

Gli incontri sono previsti anche nei Comuni della Provincia. A Pinerolo la consegna del Documento Unitario avverrà venerdì pomeriggio alle 16,30 alla presenza del Sindaco Eugenio Buttiero e all’Ass. al Lavoro ed alle Attività Produttive Franco Agliodo, per iniziativa dell’Ascom-Confcommercio locale . La “giornata di mobilitazione” si concluderà con una “fiaccolata silenziosa” che, partendo da Piazza Carignano a Torino, arriverà attraverso via Accademia delle Scienze in Piazza Castello, davanti al Palazzo della Prefettura. Per informazioni: Ascom–Confcommercio, Filiale di Pinerolo, C.so Torino 26, tel. 0121/379586.

 IL DOCUMENTO

 Ascom-Confcommercio e Confesercenti di Torino e provincia si sono mobilitate per richiamare l’attenzione delle Istituzioni locali e nazionali sul grave stato di crisi in cui da tempo versano le imprese da esse rappresentate.

 

Questo allarme sulle difficili condizioni delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi trova puntuale conferma nei dati recenti sulla «natimortalità» delle imprese: per la prima volta da molti anni, il numero di quelle che hanno chiuso ha superato il numero di quelle che hanno aperto.

 I dati sui fatturati non sono meno preoccupanti: fra il 2008 e il 2011 si è registrato un andamento negativo del giro d’affari di 6 punti percentuali, dato che - se depurato dall’inflazione -  raggiunge il 14%.

 Né le prospettive sono incoraggianti: per il 2012 si prevede un’ulteriore riduzione dei consumi di circa l’1,4%, che proseguirà anche nel 2013 con almeno un altro

 - 0,5%.

 Tutto ciò non poteva non avere influenza sull’indice di fiducia delle imprese: i recentissimi dati dell’Istat indicano che nel mese di aprile, tale indice scende sia nelle imprese dei servizi, sia in quelle del commercio al dettaglio. In particolare, l’indice subisce una diminuzione rilevante (da 82,2 a 76,0) nei servizi di mercato e più lieve (da 83,8 a 81,8) nel commercio al dettaglio.  Inoltre nel commercio al dettaglio peggiorano sia i giudizi sia le aspettative sulle vendite e torna a diminuire il saldo relativo alle scorte di magazzino.

 

Tale contesto è stato senza dubbio generato dalla crisi mondiale iniziata nel 2008 e tuttora in corso, ma anche ulteriormente aggravata da una serie di provvedimenti assunti a livello centrale ( e con significative ricadute anche a livello locale) fra il 2011 e il 2012.  Provvedimenti che hanno via via condotto le nostre imprese a dover oggi affrontare situazioni di crisi ormai insostenibili.

 Ecco i più pesantemente negativi:

-         Deregolamentazione degli orari – Unico Paese in Europa, l’Italia, con possibilità di aperture 24 ore su 24. Ancora una volta le “liberalizzazioni” sono partite dal commercio e lì si sono, in gran parte, fermate! Con danni particolarmente pesanti e problemi organizzativi ingestibili per negozi di vicinato e mercati.

-          Aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti – L’incremento di un punto già deciso e quello annunciato di due punti (dal 21 al 23%) dell’Iva non potrà che ulteriormente deprimere i consumi mettendo a rischio la stessa  sopravvivenza di tantissime imprese. Lo stesso dicasi per i ripetuti aumenti delle tasse sui carburanti.

-         Tassa rifiuti – Il suo ulteriore appesantimento va a incidere fortemente sui costi complessivi d’impresa: da questa tassa si attende un aumento di gettito di 1 miliardo l’anno che graverà, in larga parte, sui locali adibiti a esercizi commerciali, di somministrazione e laboratori artigianali (dato nazionale).

-         Sistri – A ciò si aggiunga l’incertezza dell’operatività del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, che ha gravato le imprese di costi di consulenze, ammodernamento dei sistemi e pagamento dei contributi senza che il nuovo meccanismo sia finora entrato in attività.

-         Imu – La nuova imposta sugli immobili risulta particolarmente penalizzante per quelli commerciali, a causa dell’aumento della base imponibile per immobili classificati come negozi e botteghe e dell’aumento dell’aliquota base al 7,6 per mille (salvo ulteriori eventuali incrementi decisi a livello comunale) contro la vecchia Ici al 6,4 per mille.

-         Imposta di soggiorno – La sua introduzione rappresenta un duro colpo alle imprese del settore turistico che diventano sempre meno competitive, a vantaggio dei Paesi concorrenti dove, per altro, l’Iva è più bassa.

-         Aliquote previdenziali – Il loro aumento rappresenta per le imprese, a livello nazionale, un costo di 2,7mld di Euro nei prossimi tre anni.

-         Riforma del mercato del lavoro – L’eccessiva attenzione dedicata all’art. 18 (che nella realtà poco coinvolge le nostre micro, piccole medie imprese) ha fatto perdere di vista quella “buona flessibilità in entrata” che più risponde a reali esigenze strutturali di settori fondamentali, quali soprattutto il “turismo” e i “servizi”.

-         Abusivismo – A fronte di questa nutritissima serie di aggravi, nulla o quasi è stato fatto per stroncare o almeno fortemente limitare la piaga dell’abusivismo e della contraffazione, fenomeni che danneggiano non poco le aziende regolari e il cui giro d’affari appare in continua crescita.

 

Da un recente studio sulle ricadute fiscali di questi provvedimenti si ricava che un piccolo imprenditore (fatturato 50 mila euro, con un locale di 100 metri) dovrà sopportare un onere aggiuntivo annuo fra i 3.530 e i 5.180 euro, a seconda del luogo dove opera.

 

Questi ultimi provvedimenti non devono far dimenticare il contesto di difficoltà in cui da tempo si muovono le nostre imprese: basti pensare, a solo titolo di esempio, alla crescente difficoltà di “accesso al credito” e alla sempre più asfissiante “macchina burocratica”.

 

CIO’ NONOSTANTE , LE NOSTRE IMPRESE VOGLIONO CONTINUARE A DARE IL LORO CONTRIBUTO PER LA CRESCITA ECONOMICA  DEL TERRITORIO E DEL PAESE!

 

Affinché ciò sia possibile, occorrono però alcune “strategie” essenziali:

 

  • Ø Il pur necessario rigore va affiancato da subito a politiche mirate alla ripresa economica e a un concreto rilancio dei consumi, mettendo un po’ più di soldi nelle tasche degli italiani.
  • Ø Vanno drasticamente ed effettivamente ridotti i costi della politica e della spesa pubblica: non da oggi le nostre associazioni hanno messo in campo proposte concrete e praticabili per raggiungere tale obiettivo.
  • Ø Appare sempre più necessaria e non rinviabile la riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese, ricordando che un fisco veramente equo ed efficiente non è mai un fisco “mediatico” e di sola immagine.
  • Ø La riduzione del carico fiscale va operata non solo a livello centrale, ma anche in riferimento alla miriade di tributi locali che negli ultimi anni hanno avuto un incremento notevole e allarmante.
  • Ø Non va dimenticata, sempre in campo fiscale, la necessità di rivedere il “patto di stabilità”, che - per come è strutturato ora - impedisce agli enti locali le spese per investimento e rende altresì problematici i pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche alle imprese, mettendone in molti casi a rischio la sopravvivenza.
  • Ø Vanno immediatamente adottate incisive misure per contrastare l’inefficienza della “macchina burocratica”, che rappresenta un altro costo non indifferente per l’impresa.
  • I rapporti di lavoro vanno resi meno rigidi e soprattutto più adeguati, all’interno di un discorso di “migliore flessibilità”, alle specifiche esigenze dei vari settori di mercato: solo così le nostre imprese, rischiando come sempre in proprio, potranno tornare a creare nuova e qualificata occupazione.
  • Ø Necessario appare anche affrontare una volta per tutte e con decisione il nodo cruciale del “credito”, affinché banche e imprese possano riprendere una proficua collaborazione valorizzando sempre più il ruolo dei Consorzi Fidi.
  • Ø Per quanto attiene in modo specifico al commercio su aree pubbliche, va ribadita la necessità di escludere - in modo definitivo e inquivocabile - tale settore dalle previsioni dalla cosiddetta “direttiva Bolkestein”, in modo da garantire la serenità e la continuità di tante aziende ambulanti: si tratta di una richiesta da tempo portata avanti dalle due associazioni di categoria Fiva-Confcommercio e Anva-Confesercenti.
  • Ø Tutte queste “strategie” dovranno essere rese operative attraverso una progettualità “condivisa” e non mai semplicemente “imposta”: il coinvolgimento di tutti i soggetti sociali, infatti; è garanzia di un migliore ottenimento degli obiettivi fissati. 

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