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VIDEO. Centri antiviolenza Emma e la difesa delle donne anche a Pinerolo

 

VIDEO. Centri antiviolenza Emma anche a Pinerolo e la difesa delle donne

 

 

GUARDA IL VIDEO.

di Piergiacomo Oderda

Un autoritratto di Frida Kahlo ci squadra mentre attendiamo Anna Maria Zucca, presidente dei centri antiviolenza Emma, nell’ampia sede di Torino, in via Passalacqua 6b.

Come hai scoperto la necessità di un impegno in questo campo?

Zucca risponde su “Repubblica” a fine anni ’90 ad una lettera sulla necessità che anche le casalinghe dovessero percepire uno stipendio, facendo presente che «noi donne avevamo bisogno di sorellanza, di unione perché ancora all’epoca molte cose venivano decise sulla nostra testa». «Ho ricevuto un sacco di telefonate un po’ da tutta Italia, molte donne sono venute a trovarmi, ho toccato un tasto scoperto e molto vivo, non potevo nascondere la mano, dovevo far qualcosa. Siamo un po’ nate per corrispondenza sul giornale, siamo nate come associazione, a Napoli al Maschio Angioino con oltre trecento donne provenienti da tutta Italia». Nel video dell’inaugurazione del centro antiviolenza presso l’Università di Torino, lo scorso 24 ottobre, hai detto che la prima finalità è un cambiamento culturale.

«L’origine della violenza deriva da come è strutturata la società, se vado indietro di qualche anno, mi accorgo che anche in Italia quella violenza non era percepita, mi accorgo del diritto d’onore, quando è nata l’associazione ancora non se ne parlava; mi accorgo del fatto che alcune forme di violenza come lo “stalking” sono arrivate ad essere riconosciute come forme di reato solo qualche anno fa, da poco si parla di femminicidio prima erano semplicemente omicidi mentre adesso facciamo la distinzione, uccisa in quanto donna. La società in cui si vive connota in qualche modo ruoli, mansioni, la cosiddetta normalità, i cosiddetti stereotipi, non stare nella normalità crea disagio e problema e quindi crea violenza. Pensare ad una relazione non paritaria dove il potere si pensa di poterlo esercitare, è l’embrione della violenza».

In un altro video per il Politecnico, una delle due vicepresidenti, Silvia Lorenzino, dice “Non chiamiamola vittima”, ci sono dei pregiudizi da sfatare? L’Istat ha riscontrato per ben due volte nell’arco di dodici anni il dato di «una donna su tre.. Questo sta a significare che il fenomeno della violenza è molto diffuso.

“Non chiamiamola vittima”: la parola vittima racchiude uno stereotipo, se io penso ad una vittima penso ad una persona debole. Non è così, la donna che subisce violenza è una donna che sopravvive ogni giorno ad una violenza, fa di tutto per evitarla quindi è una donna che ha delle risorse, una serie di capacità per frenare e evitare la violenza. Non ci riesce perché dall’altra parte si cerca il litigio, la svilizzazione, si cerca la scusa per poter ancora una volta esercitare violenza».

Cosa s’intende con il diritto di autodeterminarsi della donna?

«Siamo un centro antiviolenza che ha matrice femminista, i primi centri antiviolenza nascono negli anni Settanta quando le donne incominciano ad avere anche un ruolo politico nella società, si incontrano, cercano di cambiare la cultura e la società, si accorgono che molte di loro subiscono violenza. Dal confronto tra loro nascono i primi centri di supporto, di accoglienza, i primi centri antiviolenza, da questa relazione tra la donna che ascolta e la donna che racconta, la donna che ascolta restituisce alla donna che racconta il suo valore, le sue esperienze, le sue capacità. Autodeterminarsi perché? Ognuno di noi ha sempre in ogni caso il diritto di scelta, a ogni scelta c’è un’assunzione di responsabilità, questo è un valore indispensabile che deve essere riconosciuto a qualunque persona, uomo o donna, soprattutto ad una donna che subisce violenza perché questo diritto di scegliere nella violenza non esiste».

Quali sono i servizi che offrite?

«Sono molto contenta di parlare di Emma, siamo state noi a Torino per tanto tempo “Donne futuro” e altrettanto per tanto tempo a Pinerolo “Svolta donna”. Abbiamo fatto una cosa unica, abbiamo cambiato nome proprio per riconoscere ad entrambe le associazioni uguale valore, anche perché, prima di unirci, abbiamo capito che la pensavamo allo stesso modo avevamo la stessa metodologia e dall’unione è nato un effetto moltiplicatore. Pinerolo può vantare un bel centro antiviolenza, una casa rifugio, due spazi per l’emergenza, uno spazio per l’autonomia. Come esattamente Torino, questo risponde alle esigenze del territorio, siccome la violenza molto spesso porta con sé anche problemi di sicurezza, problemi in cui la donna in alcuni territori può esserci, in altri no, poter disporre di numerosi presidi come in questo caso facilita la donna a recarsi dove si sente più sicura. Abbiamo importato da “Svolta donna”, da Pinerolo, una cosa che pochi centri antiviolenza hanno che è il numero verde (800093900), potenziato, in grado di assicurare una copertura 24 ore su 24 sia agli operatori della rete anti violenza sia alle donne».

In una news del 18 maggio esprimete una particolare preoccupazione per la situazione di isolamento totale. C’è stato un aggravarsi della situazione con la pandemia? 

 «Noi abbiamo vissuto momenti di molta ansia, abbiamo avuto il silenzio totale. Non nascondo che abbiamo dovuto mettere il personale in cassa integrazione e quindi fare dei turni qua perché noi siamo rimasti comunque aperti, operative, col numero verde. Abbiamo seguito a distanza oltre centosessanta donne, non tutte, di solito ogni anno ne seguiamo quattrocento. Eravamo molto angosciate dal silenzio, abbiamo passato due mesi abbondanti senza nessuna chiamata nuova, senza nessuno che chiedeva aiuto».

Come aiutare l’associazione?

«Durante questo periodo ci siamo resi conto che avevamo a disposizione ben quattro alloggi per le emergenze. Immaginando che le richieste potessero esplodere, abbiamo trovato per fortuna uno spazio più grande per accogliere fino a dodici persone in contemporanea. L’abbiamo messo a posto e lo stiamo arredando; grazie alla piattaforma “ForFunding” del San Paolo stiamo raccogliendo i fondi. Se pensiamo di avere due centri antiviolenza, tre case rifugio, quattro per l’emergenza e tre per l’autonomia, stiamo arrivando a dieci sportelli. Accogliamo contemporaneamente circa ottanta persone, questo vuol dire tanto lavoro di sostegno, lavoro amministrativo. C’è bisogno di aiuto di volontariato, di risorse, ma soprattutto di passione, se manca quella non si va avanti!».

Nella foto Anna Maria Zucca, presidente dei centri antiviolenza Emma e Piergiacomo Oderda

Piergiacomo Oderda

 

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