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Libro su mons. Derio Olivero: “Verrà la vita e avrà i suoi occhi”

29/06/2020 10:19

Libro su mons. Derio Olivero: “Verrà la vita e avrà i suoi occhi”

 “Da una drammatica esperienza di contagio, un formidabile sguardo sul futuro”.

di Piergiacomo Oderda

Alberto Chiara, caporedattore di “Famiglia cristiana”, firma un’intervista a mons. Derio Olviero (ed. S. Paolo, 2020). Il titolo, “Verrà la vita e avrà i suoi occhi” ricalca il titolo di una raccolta di poesie scritte da Pavese nel 1950 (“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”). La prefazione è siglata dal cardinale di Bologna, Matteo Zuppi. Il sottotitolo fissa l’obiettivo: “Da una drammatica esperienza di contagio, un formidabile sguardo sul futuro”.

La prima chiave di lettura è di carattere biblico, a partire dal monito nel sesto capitolo, “se la nostra pastorale sarà di nuovo solo la Messa e non avremo imparato che bisogna offrire lectio sulla Parola… ce la giocheremo malissimo”. Il vescovo, nel ripercorrere le diverse fasi della sua lotta contro il Covid, rammenta: “recitavo mentalmente i salmi più cari che conosco a memoria, in particolare l’8, il 23 (Se dovessi camminare in una valle oscura), il 120 e il 131 (Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre)”. “Sono stato dimesso quaranta giorni esatti dopo il mio ricovero. Quell’esperienza rappresenta la mia personale traversata del deserto”. Cita Deuteronomio 8: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore Dio tuo ti ha fatto percorrere”.

Una seconda chiave di lettura sono le citazioni, segno di letture approfondite. Tra le altre, ricordo la metafora dell’”abbassamento repentino del soffitto sulle nostre teste” del filosofo Piero Prini, già presente tra i capitoli della lettera pastorale “Vuoi un caffè?”. Prini era uno dei maggiori esponenti dell’esistenzialismo cristiano (1915-2008). Cita Ian Goldin, economista e professore a Oxford, e Chris Kutarna, ricercatore in Scienze Politiche nella medesima Università. Autori di “Nuove età dell’oro. Guida a un secondo Rinascimento economico e culturale” (Il Saggiatore, 2018), ispirano il seguente pensiero: “il post Covid, se vissuto con scienza, coscienza e sapienza può diventare occasione per una nuova primavera sociale, culturale ed economica”.

La terza chiave di lettura può essere ricavata dalla comparazione tra le dieci parole presentate nella lettera pastorale “Vuoi un caffè?” dello scorso settembre e come vengono riproposte nel testo di Chiara – Olivero. Le differenze, le integrazioni mostrano come si siano incarnate nell’esperienza vissuta nel lockdown. La prima parola è “individuo”, “che ne sarà della comunità?” si chiede il vescovo  se si pensa che sia opportuno dialogare “da qui e per sempre via Zoom”. “Nel periodo di distanziamento sociale, abbiamo sentito che l’altro ci mancava più dell’aria”. Il concetto è anticipato anche dal card. Zuppi, “senza relazione, cioè senza comunione o una relazione ridotta a convenienza, cosa diventano la Chiesa e le nostre comunità?”. Al secondo posto, inserisce la parola “libertà” per sottolineare quanto sia “un bene comune prima che individuale”. Seguono “identità”, “fraternità”, “dono”, “fiducia”. La settima parola, “confine”, permette di intravvedere spazi di impegno, “il post lockdown riconsegna problemi che avevamo accantonato. Flussi migratori, rifugiati, sbarchi, tutti fenomeni che la pandemia ha cacciato dalle prime pagine dei giornali ma non per questo estinti”. Dopo “gentilezza” e “virtù”, inserisce un altro ambito di impegno, “terra”, legato all’invito di papa Francesco di un anno speciale di anniversario della “Laudato si’”, “dodici mesi per riflettere sull’enciclica e attualizzarla, dal 24 maggio 2020 al 24 maggio 2021”. Si torna all’esperienza di sofferenza con le parole “fragilità” e “cura”. Riprende una riflessione di Mauro Magatti, “la fragilità va protetta, ma va anche riconosciuta e accettata, segno della nostra costitutiva precarietà. In una società avanzata, occorre trovare il modo di proteggere chi è più esposto, anziché immaginare di poter correre sempre al massimo”. Sulla “cura”, “fecondo terreno d’incontro tra cultura laica e cultura di ispirazione cristiana”, approfondisce un concetto elaborato da Luisella Battaglia, professoressa di filosofia morale, sulla “possibilità di trovare un fondamento di comunità a partire dalla condizione di vulnerabilità… uscire da una prospettiva individualistica per accedere a una visione relazionale, capace di recuperare il legame di responsabilità collettiva per la vita l’uno dell’altro”.

Rispetto alla lettera pastorale, espunge la parola “comunità”, forse per diffondersi maggiormente su quest’argomento nel capitolo sesto, ponendo la dimensione di pastorale familiare, “riportare la vita di fede nelle case, non per dare alle famiglie un impegno in più ma per riscoprire la fede nella sua dimensione quotidiana”. In appendice, si riprendono le riflessioni del vescovo sullo stemma e sul motto “Quid quaeritis”, “Cosa cercate?”. L’iconografia parte dalla vita del vescovo (tratteggiata nel secondo capitolo), si approfondisce con la parabola del seminatore e con il desiderio di “aiutare ogni uomo a camminare, a non stancarsi di cercare, a rinascere ogni giorno nella passione per l’avventura della vita”.

Mi perdonino gli autori per due rilievi critici. Innanzittuto la quasi assenza dell’arte, così rilevante nel magistero di mons. Olivero, ripresa solo in nota nelle due preghiere di papa Francesco per gli artisti nelle messe di Santa Marta, “gli artisti ci fanno capire cosa è la bellezza e senza il bello il Vangelo non si può capire” (7 maggio 2020). La seconda assenza è un racconto dei tre anni di ministero a Pinerolo, l’incontro con i giovani, con il mondo valdese, le risonanze in ambienti “inediti” della prima lettera pastorale, “Lo stupore della tavola”, la discussione sul tema della laicità di cui riportava la sollecitazione in un contributo su “L’eco del Chisone”, il riportare in diocesi quanto si dibatte nell’assemblea dei vescovi italiani, i nuovi apporti comunicativi nei video sul vangelo della Domenica. Potrebbero essere altri capitoli nella linea del pensiero di Derio, “la storia non è un dettaglio, è essenziale alla vita e alla fede. Per questo dobbiamo insieme costruire un cristianesimo all’altezza dei giorni che viviamo”.

 

Piergiacomo Oderda

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